[I° Tappa BlogTour] Amore, tacchi e croccantini di Elisabetta Belotti

Buon Lunedì miei cari #FeniLettori! Oggi vi mostro un libro davvero divertente, del quale ben presto potrete leggere la recensione. Intanto noi vi proponiamo degli approfondimenti sul libro e con la prima tappa un bellissimo estratto!

Alice, redattrice in carriera, pur di avere una sua rubrica di moda e costume farebbe di tutto. Così, quando il direttore del suo giornale le chiede di strappare un'intervista esclusiva allo chef pluristellato Ramon Barrat, icona della gastronomia catalana dal carattere bizzarro e bizzoso, accetta immediatamente, senza sapere che il destino ha in serbo per lei sorprese e imprevisti. Come trovarsi a sostituire la segretaria tuttofare di Barrat, tra i cui compiti c'è quello, solo in apparenza facile, di occuparsi del vivace cagnolino Pepito. Fortuna che, quando serve, c'è sempre un affascinante veterinario sulla strada di Alice. Ma, tra le richieste del mega chef, che la manda in incognito a curiosare nei ristoranti rivali per testare ricette, e quelle del suo capo Luca, che la spedisce in deshabillé in ristoranti per nudisti, cavarsela non è facile! Soprattutto quando la tanto agognata posizione lavorativa è minacciata dalla conturbante Olivia, "favorita" di Luca. Chi avrà la meglio?
Elisabetta Belotti già autrice del divertente Il Manuale del perfetto marito (Sesat Edizioni, 2012) – tocca un tema a lei caro: la ricerca dell’uomo ideale. Che forse non esiste… O invece sì? Lo scoprirà a sue spese la protagonista di questo spumeggiante romanzo di chick lit, che apre la collana “A cuor leggero” delle edizioni Cento Autori e che farà riflettere tutte noi: per cercare l’uomo dei nostri sogni, è proprio vero che dobbiamo andare lontano?
Sono in ritardo. Sono in ritardo da stamattina.
Be’, in realtà sono spesso in ritardo. O forse sono gli altri a essere sempre in anticipo.
All’università adoravo il quarto d’ora accademico: dovrei adottarlo ufficialmente anch’io.
Sara mi sta aspettando, con Giulio, sotto la redazione. Passo in bagno, mi sistemo velocemente il trucco e spruzzo un po’ di profumo sui polsi e sui capelli. Poi lancio un saluto collettivo nell’open, dove si trovano ancora quasi tutti i miei colleghi, e mi catapulto nell’ascensore. Sbuffando, mi do un’ultima controllatina allo specchio: quello che vedo mi soddisfa solo in parte. Ok i capelli, biondi e ricci ma non crespi; ok il trucco, discreto ma visibile; ok le scarpe, il mio solito tacco dieci. Quello che non va è il tailleur. Blu, di Dsquared2; è carinissimo, per carità, e mi fascia al punto giusto, però la stoffa è pesante e mi fa sudare. Sembrava una giornata fresca, invece è scoppiato il caldo infido di maggio, quello che non ti aspetti. Il giorno prima piove e rabbrividisci, il giorno dopo butteresti via non solo la giacca ma pure le calze. E le scarpe. Incredibile: sono in ritardo anche sul cambio di stagione dell’armadio.
Da quando vivo a Milano, mi sembra sempre di correre, correre, correre e non arrivare mai. Come Alice dietro al Bianconiglio. D’altronde, mi chiamo Alice. Però non vivo nella verde Inghilterra, e non ho più tempo per leggere. Sarà che per lavoro scrivo. Scrivo di cibo, l’ossessione del nuovo millennio, ma in realtà vorrei scrivere articoli di moda. E di arte. La storia dell’arte e la moda sono le mie più grandi passioni. Frustrate, per ora. Scrivo di cibo su Milano#Mi, una rivista digitale che si occupa della città e delle nuove tendenze. I sogni son desideri di felicità, direbbe Cenerentola, ma io non ho fate madrine, né alcun ballo da bramare… Le zucche che vedo io non si trasformano in carrozze, ma in trendissime zuppe biologiche o in accattivanti tortelloni a chilometri zero.
Sono arrivata al piano terra; mi scapicollo fuori dall’ascensore, saluto il portiere ed esco.
«Eccola, la novella Artusi, sempre in ritardo.»
Sara, con il suo accento milanese, sembra ironica anche quando è nervosa, come ora.
«Bello il tailleur, ma suderai come un porco, vero?» Giulio invece è perennemente spiritoso, anche quando il fidanzato di turno lo molla per un altro uomo. Dice sempre che se, morto un papa, se ne fa un altro, figurarsi se lui non può farsi un fidanzato dopo l’altro.
«Così Barrat ne può fare salamelle o polpette in diretta… Alice, sali, sbrigati.» Sara apre la portiera e mi lancia praticamente sul sedile posteriore. Ovviamente, guida lei. Sara è nata a Milano da una famiglia di milanesi veri, dentro la cerchia dei Bastioni, così sostiene, e lo ribadisce sempre con un certo orgoglio. Chi è nato fuori dal magico perimetro non può barare: non è di Milano. Quando usciamo insieme, non cede mai il volante: sostiene di conoscere le strade della sua città meglio di un taxista. E forse è così; da quando la frequento, mi ha trascinato in ogni angolo di Milano con la sua Mini nera senza che ci perdessimo mai.
Anche questa sera: venti minuti di chiacchiere e siamo già a destinazione.
«È qui la messa laica? La celebrazione della nuova divinità?»
Giulio non sopporta la recente ascensione degli chef a semidei, esattamente come me. Stavolta, però,la sua curiosità è stata troppo forte e ha deciso di accompagnarmi all’evento della settimana: questa sera, infatti, lo chef Ramon Barrat, la nuova star della cucina catalana, presenta a Milano il suo ultimo manuale di ricette:Amor, calor y tapas.
Il titolo è furbetto, lo riconosco, ma a me non verrebbe mai in mente di leggere il libro di un cuoco, con rispetto parlando. Preferisco i romanzi, classici e moderni; se proprio devo leggere biografie, che siano di personaggi fondamentali per la Storia del mondo. Non, non penso a Gandhi, Martin Luther King o ad altri uomini ugualmenteimportanti. Penso alle donne che hanno contato davvero: Coco Chanel, Mary Quant, le sorelle Fontana. Chi veste le donne cambia il mondo, secondo me. Perché ne influenza la vita quotidiana, senza grandi proclami. Accorciate una gonna, e avrete liberato una donna. Per questo sto convincendo il direttore del mio giornale, Luca, ad affidarmi una nuova rubrica di moda e costume. In realtà non è ancora molto convinto, dice che vado benissimo nel mio ruolo: responsabile di una concisa e leggera rubrica di cibo e attualità.
Qui è un delirio: gente nella hall, gente nel salone, gente sulle scale, ragazzoni con l’auricolare, guardie del corpo. E tantissimo pubblico. Ma sono tutti giornalisti? Sospetto la presenza di almeno un 50% di food blogger. Maledetti blogger: si infiltrano dappertutto, scrivono ovunque e cercano di occupare lo spazio di noi poveri giornalisti precari. Come se aprire un blog, scrivere un paio di post e pubblicare qualche fotografia sfocata equivalesse a fare il nostro lavoro: un giornalista è un professionista, non scrive per hobby, per la miseria!
«Sì, è qui la festa» risponde Sara, con il suo solito tono canzonatorio. «Guarda quanti chierichetti!»
Flash, risate, facce entusiaste. Tutti convinti di essere la gente giusta nel posto giusto. C’è chi fotografa l’ingresso della sala, chi il buffet, chi Barrat a dieci metri di distanza. Poche macchine fotografiche professionali, tanti smartphone: avevo visto giusto. Pochi giornalisti e troppi blogger.
In compenso Barrat è simpatico, ci fa e ci è, contemporaneamente. Gigioneggia, enfatizza l’accento straniero, parla del suo passato di bambino povero nel Barrio Gotico di Barcellona. E poi dei prodotti mediterranei, e di come adori Milano e l’Italia.
Quando una ragazza giovanissima, incauta, gli chiede se è felice di esportare la cucina spagnola nel mondo, lui impallidisce, strabuzza gli occhi, rotea il capo lanciando sguardi attoniti: un vero attore del cinema muto. Gli manca solo una tenda di velluto color cremisi a cui attaccarsi per sfogare la disperazione. «Spagnola? Spagnola, tu dius? Mare de Déu! Catalana, la mia cucina è di Barcelona, Catalunya. Vai a Madrid, se vuoi la Spagna: jo sóc el Barrat, jo sóc català.» Poi guarda le persone sedute nelle prime file con lo stesso sguardo del torero che ha appena infilzato il toro.
Sarà anche un cuoco − pardon, uno chef stellatissimo − ma è davvero un grande attore! Guardo Giulio: non gli sta togliendo gli occhi di dosso. Oddio, gli piace. Riconosco quello sguardo torbido negli occhi del mio amico: gli piace Barrat. Gli dò una leggera gomitata: «Forte, eh?» dico in tono sommesso. «Un torero» bisbiglia. Ha avuto la mia stessa impressione, allora. «È un torero, e io vorrei tanto essere il suo toro.»
Arrossisco, mentre Sara riesce a stento a trattenere una delle sue tipiche risate di gola. Finalmente Barrat sorride, di nuovo, e invita la ragazza nel suo ristorante a Barcellona, per farle capire la differenza tra i catalani e tutti gli altri iberici. Ammicca e tutti capiscono che, secondo lui, la differenza è a favore dei catalani anche, chiamiamola così, nell’arte amatoria. Il pubblico applaude e il clima si rasserena.
Alla fine delle domande, ritengo di averne avuto abbastanza: vorrei andare via. Un salto al buffet, e poi potremmo anche filarcela; credo di avere materiale sufficiente per il mio articolo. Sul buffet sembrano essere passate le cavallette: c’è rimasto ben poco, solo le guarnizioni e qualche tapatriste, solitaria y final. Sara è qui con me, si gusta un po’ di gazpacho, mentre non vedo più Giulio.
Ah, eccolo là: sta scattandosi un selfie con Barrat. Sorride come un ragazzino: ogni tanto penso che, dal punto di vista femminile, Giulio rappresenta proprio un gran bendidio sprecato. So che non è un pensiero politically correct, ma perché conosco solo omosessuali bellissimi? Forse perché siamo a Milano? In questa città, tra designer, bioarchitetti, stilisti di moda, aspiranti scrittori, social media strategist e addetti alle pubbliche relazioni, trovare un etero è come trovare il classico ago nel pagliaio. La Milano postmoderna! “Milano vicino all’Europa”, cantava Dalla e sì, penso che effettivamente siamo vicini a una Londra vittoriana, con i pierre al posto dei dandies e gli architetti al posto dei preraffaelliti. Tutto molto cool, ma per noi single è una giungla, e dobbiamo stare attente a coordinare il machete alla borsetta.
Quando finalmente Giulio si stacca da Barrat, ci raggiunge. Ha sul viso il sorriso del giocatore d’azzardo che ha sbancato.
«Perché quella faccia?Dillo alle ziette!» Sara non resiste ed effettivamente sono curiosa anch’io.
Giulio fischietta, guardandoci dall’alto del suo metro e novanta. «Dite a me, ragazze?» «Sì, farabutto» ribatto. «Cosa ci nascondi?»
«Nulla, a parte il suo numero di telefono e la verità sul suo orientamento sessuale.» Ora il suo sorriso si è allargato a comprendere gli occhi, che scintillano; direi che anche le orecchie sorridano.
«Cooosa?» proferiamo all’unisono io e Sara. Giulio intanto ci sta spingendo fuori dalla sala, verso l’ascensore. Forse anche lui ha materiale sufficiente, ora.
«Stai scherzando! Ma se Barratalla tv spagnola è il sex symbol delle casalinghe?» insisto. Giulio inarca un sopracciglio.
«Ma non era fidanzato con quella modella, come si chiama, quella che prima stava con il giocatore del Real Madrid?» continua Sara.
«Era, hai detto bene. Ora non lo è più.» Laconico ma puntuale il commento del nostro amico.
Io e Sara ci guardiamo basite. «E ti ha dato il suo numero?»
Giulio ci guarda, scuotendo lentamente il capo. «Voi ragazze mi sottovalutate sempre. Dovreste venire a lezione da me, qualche volta.»
Lo prendiamo a borsettate finché non ci supplica, in preda a un attacco di risate, di smettere. Usciamo dall’ascensore, ridendo, e andiamo a sbattere contro Filippo, il mio ex. Ha l’aria cupa e indossa una camicia orribile e pantaloni troppo larghi.Ci guarda irritato. «Certa gente proprio non sa contenersi» sibila.
«Ciao Filippo, buona sera anche a te» ribatto. «Cosa ti porta qui? La presentazione di Barratè finita, ormai.»
«Non sono qui per il libro» chiosa lui, arrogante. «Devo parlare con Barrat per l’arredamento del suo nuovo ristorante. Ricordi, no, che seguivo il padiglione della Spagna e poi mi ha chiesto di collaborare con lui?»
Filippo è un architetto e, come molti a Milano, ha lavorato ai cantieri di Expo. In effetti, possiamo dire che il suo impegno per l’esposizione universale è stata una delle cause della fine della nostra storia. Una consistente ultima goccia: troppo stress e troppe discussioni.
Sara mi vede in difficoltà ed entra a gamba tesa nel nostro scambio di battute: «Filippo, di sopra sono tutti euforici, cerca di toglierti quell’aria da becchino, o penseranno che sei qui per portare via qualche salma pronta per il Monumentale.»
Filippo la guarda freddamente, poi si rivolge di nuovo a me: «Ami ancora frequentare le cattive compagnie, vedo.»
«Non sai quanto». Ecco, ci mancava Giulio. «E non sai quante sorprese, in serate come queste. Noi andiamo a divertirci un po’ adesso, tra ragazze.» Quando imita Priscilla regina del deserto non lo reggo, ma so che lo fa per irritare Filippo. Ci riusciva sempre, quando stavamo insieme.
Il mio ex entra in ascensore e ci guarda, scuotendo la testa. «Ti saluto, Alice, cerca di star bene.»
«Sarà facile, senza di te.» Scandisco bene le parole, ma l’ascensore si è già richiuso, e non so se Filippo ha sentito le mie parole.

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E con questo concludiamo la nostra tappa. Mi raccomando seguite anche le altre tappe. A presto!

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