La banalità del male di Hannah Arendt

Buona giornata cari Lettori! Oggi parliamo del libro che avrei dovuto leggere in occasione della Giornata della Memoria 2021. Non sono riuscita però ad aspettare, l'ho già letto e quindi oggi ne discutiamo.

La banalità del male è un saggio che mi riprometto di leggere da tantissimo tempo; negli anni ho letto tutto il leggibile sul tema Nazismo e Shoah, romanzi, saggi, biografie, memoir, davvero di tutto. Se siete lettori abituali del blog probabilmente saprete che si tratta di un tema che mi interessa particolarmente e sul quale mi sono documentata molto. Questo saggio era la mia grande mancanza sul tema e avevo deciso che sarebbe stato la mia lettura in tema per la Giornata della Memoria. Non ho saputo aspettare e l'ho letto nell'ultima settimana.

Il saggio è in realtà un reportage composto da una serie di articoli che Hannah Arendt scrisse sul processo di Eichmann a Gerusalemme tenuto tra il 1961 e il 1962. La Arendt era inviata del New Yorker e poté assistere a tutte le fasi del processo. Questo libro ha raccolto poi tutti gli articoli che scrisse sul tema durante quei due anni. 

Adolf Eichmann fu processato a Gerusalemme per i crimini commessi negli anni della Seconda Guerra Mondiale, in particolare perchè fu ritenuto responsabile del programma relativo prima all'espulsione degli ebrei dalla Germania e dagli altri paesi del Reich, e in seguito per la sua partecipazione attiva, come uno dei principali uomini in comando, alla "soluzione finale". Catturato, in  modalità che non furono del tutto legali, a Buenos Aires, Eichmann venne processato in Israele da una corte interamente israeliana e lì fu condannato e morte e impiccato circa un anno dopo l'inizio del processo.

Si trattò di un processo senza precedenti; era la prima volta che il popolo ebraico aveva l'opportunità di giudicare e incriminare un nazista per i crimini commessi durante gli anni della guerra. Era anche la prima volta che un processo veniva trattato alla stregua di un evento mediatico. Tutte le fasi del processo vennero trasmesse sul canale nazionale e dalle varie fasi del processo emerse chiaramente la volontà del governo israeliano di farsi giustizia da solo per la prima volta, anche se questo significava infrangere degli accordi internazionali. 

Eichmann accettò di farsi processare a Gerusalemme, era d'accordo e prima del processo provvide a scrivere tutti gli eventi che lo avevano visto protagonista sia durante la guerra in generale che nelle varie fasi del "Problema Ebraico". La Arendt ripercorre in ordine cronologico tutti gli eventi del processo, analizzando i capi d'accusa, fornendo una breve biografia del soggetto e sopratutto concentrandosi anche sul modo in cui il processo venne affrontato e sulla sua conclusione, conclusione a cui tutti erano preparati. Eichmann era colpevole, quello era certo, ma fino a che punto lo era? Quanto della sua volontà era presente dietro ogni ordine, dietro ogni azione? Era, come lui stesso più volte aveva ammesso, cieca obbedienza o c'era qualcos'altro da valutare?

Questi sono i principali quesiti posti dall'autrice, che nel corso del processo vengono risollevati più e più volte. Con uno stile prettamente giornalistico, ricordiamo che si tratta sempre di un reportage, la Arendt sviscera il tema. Credo che uno dei passaggi che meglio racchiuda quello che la Arendt voleva dire sia questo:

"Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male… Ma sebbene la malafede degli imputati fosse manifesta, l’unica prova concreta del fatto che i nazisti non avevano la coscienza a posto era che negli ultimi mesi di guerra essi si erano dati da fare per distruggere ogni traccia dei crimini, soprattutto di quelli commessi dalle organizzazioni a cui apparteneva anche Eichmann. E questa prova non era poi molto solida. Dimostrava soltanto che i nazisti sapevano che la legge dello sterminio, data la sua novità, non era ancora accettata dalle altre nazioni; ovvero, per usare il loro stesso linguaggio, sapevano di aver perduto la battaglia per “liberare” l’umanità dal “dominio degli esseri inferiori”, in particolare da quello degli anziani di Sion. In parole povere, dimostrava che essi riconoscevano di essere stati sconfitti. Se avessero vinto, qualcuno di loro si sarebbe sentito colpevole?"

Il Male, per come lo intende la Arendt in questo saggio, era incarnato da persone normalissime, quasi banali. Non aveva dei mostri davanti, almeno in apparenza, si trattava di uomini come noi che avevano commesso però delle atrocità terribili in nome di un'ideologia che mirava alla distruzione di interi pezzi di umanità. Chiunque abbia studiato l'ideologia nazista sa perfettamente che gli ebrei, e tutte le altre minoranze perseguitate, non erano l'unico obiettivo, dopo di loro sarebbe toccato ad altri ancora. 

Per quanto quindi Eichmann assomigliasse più ad un burocrate che aveva eseguito degli ordini, quasi senza pensare a cosa si nascondeva dietro di essi, in realtà la sua colpevolezza era chiara. Neanche la Arendt la minimizzò, anche perchè era impossibile farlo. Eichmann sapeva quello che faceva, aveva visitato i campi, aveva assistito lui stesso all'orrore, anche se in base alle sue affermazioni non aveva mai partecipato ad una di quelle azioni. 

Ma se c'è una cosa che il nazismo ci ha insegnato è che spesso il male si nasconde proprio dove meno te lo aspetti, tra le persone più normali. Non dobbiamo pensare che la malvagità sia sola prerogativa dei mostri, perchè spesso le forme di male più assoluto si nascondono invece in chi ha le stesse nostre fattezze.

La banalità del male non è una lettura semplice, è un saggio ricco di eventi, di personaggi, di descrizioni minuziose. Anche se non mi trovo d'accordo, almeno non in tutto, con la tesi della Arendt, credo che sia una lettura obbligata. Non solo per i temi trattati, ma anche perchè fa luce su molti aspetti relativi al nazismo, alla reazione degli ebrei alle persecuzioni, anche alle reazioni dell'Europa alla soluzione finale. Perchè è inutile ingannarci pensando che non tutti sapevano, che non avrebbero potuto fare nulla, che a niente sarebbe servito ribellarsi. 

Non è così, e abbiamo vari esempi riportati all'interno del libro. Se ogni paese europeo dove la soluzione finale venne attuata avesse avuto un certo tipo di reazione, come avvenne in alcuni paesi (vedi Danimarca o Bulgaria) forse oggi non parleremmo di Shoah, di sterminio, di genocidio. E allora questo male probabilmente non era solo prerogativa dei nazisti, si nascondeva e si nasconde un po' ovunque. Altrimenti come la spieghereste la morte di milioni di persone catturate, espulse, trasportate nei campi e poi uccise, e tutto alla luce del giorno? Non si può spiegare. 

Forse c'è solo una domanda che dovremmo farci, anche perchè il passato è passato e, oltre a mantenere vivo il ricordo, c'è poco che possiamo fare. Oggi, adesso, in questo preciso momento, lo sapremmo riconoscere il male, quello banale, quello che pericolosamente ci somiglia?

"I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E perciò nulla può mai essere praticamente inutile, almeno non a lunga scadenza...La lezione di quegli episodi è semplice e alla portata di tutti. Sul piano politico, essi insegnano che sotto il terrore la maggioranza si sottomette, ma qualcuno no, così come la soluzione finale insegna che certe cose potevano accadere in quasi tutti i paesi ma non accaddero in tutti. Sul piano umano, insegnano che se una cosa si può ragionevolmente pretendere, questa è che sul nostro pianeta resti un posto ove è possibile l’umana convivenza."

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