Recensione ~ Il mio grande, bellissimo odio di Elisabeth Åsbrink
Raccontare la vita di un'altra persona, scrivere una biografia, è un po' come passeggiare su una spiaggia in cerca di fossili e conchiglie, relitti sputati dal mare. Le conchiglie conservano tracce di alghe, ma la loro origine, il mare stesso, non si può afferrare. É sempre più grande e potente di chi lo guarda, e più imprevedibile. La vita di una persona comincia, procede e finisce. Quello che ne resta sono lettere, diari e ricordi sparsi, relitti sputati dal tempo. In un certo senso gli storici e i biografi sono come collezionisti di stelle marine. Hanno in mano dei frammenti e fanno ipotesi sull'insieme. Il tempo non si può afferrare, è sempre più grande e potente di chi lo guarda, e più imprevedibile.
É così che inizia Elisabeth Åsbrink nel prologo de Il mio grande, bellissimo odio. Una biografia, che è anche un po' romanzo, dedicata alla scrittrice svedese Victoria Benedictsson. Victoria Benedictsson viene annoverata tra le più importanti voci della letteratura svedese dell'Ottocento; scrisse romanzi, opere teatrali, racconti e molto altro ancora. Scriveva sotto pseudonimo maschile, come la maggior parte delle donne dell'epoca; in lei convivevano due personalità: Victoria, moglie, madre, donna intrappolata nelle convenzioni dell'epoca, e Ernst Ahlgren, lo scrittore, l'uomo che spesso diceva di voler essere e che invece non era.
Per tutta la vita combattè contro la prigione in cui si sentiva intrappolata; prima nella famiglia dove non ebbe il sostegno che sperava per diventare un artista, e in seguito nel matrimonio con un uomo molto più grande di lei che non la capì mai. Victoria si sentiva costantemente fuori posto, costantemente sbagliata, continuamente in lotta con quello che la società si aspettava dalle donne dell'epoca. Scriveva:
In me non vedono un'anima, nè un essere pensante, ma solo una superfice lucida e brillante; per loro l'unica cosa di valore è il guscio.
Eppure nonostante una vita non semplice, costellata da malattie e dolori ma sopratutto da una debolezza emotiva che la faceva sentire sempre inadeguata, sempre mancante, Victoria si libera dalla prigione. Con la sua sola forza di volontà, con il suo lavoro di scrittrice, riesce a scappare. Lascia il marito, si trasferisce prima a Stoccolma e poi a Copenaghen e inizia quella che sarà purtroppo una breve carriera da scrittrice. É nei salotti letterari che conosce Georg Brandes, celebre critico e filosofo danese che lei vedeva come un mito irragiungibile, col quale instaurerà una travagliata relazione.
Il periodo di tempo che Victoria vive è un periodo di grandi cambiamenti per la società e la letteratura. In quegli anni si fa sempre più acceso il dibattito sul ruolo delle donne nella società, sono gli anni di Ibsen e del suo Casa di bambola. E Victoria fa parte del dibattito perchè lei è la dimostrazione vivente che una donna è perfettamente capace di lavorare e di mantenersi da sola, sopratutto è perfettamente capace di pensare e non ha necessariamente bisogno di una guida.
Allo stesso tempo però Victoria è eccessivamente critica verso sè stessa, si sente inadeguata perchè non ha avuto le stesse opportunità di chi la circonda, si sente ignorante e mancante. Non le basta il talento, l'insicurezza spesso la travolge e la spinge a lunghi periodi di buio, malattie non solo del fisico ma anche dell'anima.
Lo stile dell'autrice è perfetto per questo genere di narrazione. In bilico tra biografia e romanzo, questo libro dipinge un ritratto estremamente realistico e commovente di una donna eccezionale. Una vera pioniera per la sua epoca, una personalità sfaccettata, ricca. Caparbia ma allo stesso tempo anche molto fragile. Credo che sia proprio questo il punto di forza di questa biografia, il racconto senza filtri della vita di Victoria. Tante conquiste ma anche tanto dolore. In particolare tanta solitudine, spesso nei suoi scritti ricompare la figura del granello di sabbia messo a paragone con la vita di un essere umano, proprio a sottolinearne la solitudine che Victoria visse per tutta la sua breve vita.
Ogni essere umano è un granello di sabbia, un frammento di qualcosa di più grande. Il granello è trascurabile, lo si può spazzare via, e diventa il simbolo della vita che presto si trasforma in non vita.
Bellissimo anche il rapporto di amicizia con Axel Lundegård, anche lui scrittore, che probabilmente fu uno dei pochi veri amici e confidenti di Victoria, che rimase con lei fino alla fine e divenne il custode di tutto il suo lavoro. Tantissimi i temi toccati in questa biografia, potrei stare ore a parlare di Victoria e del suo talento ma non le renderei mai giustizia. Questa biografia riesce a riportare alla luce la voce di una scrittrice eccezionale andata perduta, ma sopratutto il racconto di vita di una donna divisa tra la voglia di vivere e i sensi di colpa, tra il talento che la divora e la società che vorrebbe tenerla prigioniera. Meraviglioso. Buona lettura.
“Non mi interessa chi leggerà il mio Grande libro, quando sarò morta. Chiunque voi siate, cercate di capire quanto sono sola, quanto devo tenere a bada questo mio sangue d'artista, o tzigano, che mi scorre nelle vene più caldo di quanto si possa immaginare. Pensate che ogni giorno, ogni ora, sono costretta a recitare per apparire calma e ragionevole.”