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“Le tre domande dell’angelo”: il nuovo romanzo della scrittrice fiorentina Katia Lari Faccenda

 


È Giovanna D’Arco la protagonista del nuovo romanzo di Katia Lari Faccenda, scrittrice, musicista e restauratrice. Insomma, un’artista a tutto tondo con una profonda inclinazione alla bellezza che si percepisce fin dalle prime parole di “Le tre domande dell’angelo”, la sua ultima fatica letteraria. L’autrice fiorentina ci trasporta, con uno stile originale e poetico, nel mondo dell’eroina che, in abiti maschili, si è posta alla guida di un gruppo di uomini; la giovane donna a cui hanno tolto la vita a causa della sua consapevolezza, uno scandalo agli occhi di tutti.

Katia, lei nasce in un ambiente intriso di letteratura, con un nonno libraio e con storie che nascono nella sua mente molto presto. Si ricorda il suo primo incontro con questo mondo letterario? 

Posso dire di essere cresciuta dentro una liquidità di immagini e pensieri. Nonostante ciò, il vero incontro con la narrativa e la poesia, è stato tardo. Da piccola mi venivano concessi solo romanzi di avventura o romantici e confesso che leggere mi annoiava. Poi un giorno sottrassi alla libreria di mio nonno un piccolo/grande libricino: era il Tonio Krüger di Thomas Mann. Restai sconvolta; in quelle parole accadeva il mondo. Perché nessuno mi aveva detto che la letteratura era questo, che esisteva tanta forza e bellezza e vita dentro alle pagine di un libro? Da allora, ho iniziato a leggere con costanza e quasi con febbre, direi. 

Disegna fumetti, lavora come restauratrice di pitture murarie, studia canto lirico, si esibisce… Come vive questa vita da artista a tutto tondo, e con quale di queste realtà sente un più forte legame? 

La vivo come una concatenazione. Sono sempre stata curiosa della materia, da buona artigiana. Lavoro con le mani e costruisco, perciò ho appreso i mestieri - tutti i miei mestieri - praticando; in ogni espressione diversa ho trovato una continuità di percorso. 
Creare architetture di parole sarebbe stato impensabile per me senza conoscere il potere evocativo, elementare di una canzone popolare o le vibrazioni dei colori quando si uniscono e si contrastano. 
Comunque, per rispondere alla sua domanda, il legame che sento più forte è con l’uso della voce, il che comprende anche la voce scritta. 

“Un salto al buio”, del 2018, è il suo primo romanzo. Qual è la genesi di questa storia che parla di sentimenti e fragilità umane? 

In realtà scrivo da decenni. “Un salto al buio” è stato il primo lavoro che ho deciso di pubblicare. L’ho usato per aprire la strada, diciamo così: di facile fruizione, surreale e poetico, con una trama fitta di incontri e una teatralità corale molto organizzata. Voglio bene a questo “romanzino”, come lo chiamo affettuosamente. Nato non da una vera urgenza, ma da profonda empatia. Narra il dramma di due padri che si incontrano in circostanze molto particolari e si riconoscono nel reciproco dolore. Un lavoro pervaso di ironia e leggerezza, ma anche ricco di sostanza. 

Con “Le tre domande dell’angelo”, invece, fa un nuovo salto “al buio”, per citare la sua stessa opera: si addentra nei meandri della Storia analizzando il personaggio di Jeanne D’Arc, Giovanna D’Arco. Cosa l’ha spinta ad assumere proprio la voce di questa ragazzina? 

In questo caso ho davvero seguito una necessità. La presenza di Jeanne d’Arc è stata grande nel mio immaginario e nella mia coscienza. Ho scelto di narrare la sua parabola di vita in modo trasversale: la storia di una ragazzina nata e cresciuta nella guerra che decide di assumere la colpa di due generazioni e tradurla in un atto volontario di responsabilità, per agire un futuro ancora da immaginare. E lo fa guidando una marcia silenziosa di studenti verso la Capitale. 
Chi conosce storicamente Jeanne troverà ogni particolare biografico, ma gli accadimenti sono filtrati attraverso una diversa attualità e trasformati. La vicenda è narrata da un testimone e ha un luogo e un tempo imprecisati. Direi un medio oriente contemporaneo, comunque intriso di Medioevo e visionarietà. Nel libro l’io narrante dirà “Cantare un eroe è accorgersi della mancanza e tradurla in pienezza. È colmare un vuoto dei tempi con rimasugli appassionati, è innamorarsi della pochezza e dei limiti e renderli ispirazione, è disconoscere la storia. Cantare un eroe è quasi la verità.” 
Ho tentato di “cantare” Jeanne. 

Cosa vuole insegnarci la storia di Giovanna D’Arco?

Secondo me la storia non insegna: non mentre avviene, in quanto è ancora il presente e nemmeno quando sopravvive grazie alle diverse interpretazioni che ne vengono date. La storia si intreccia col vissuto di ognuno e in quel vissuto la si apprende e custodisce o si passa oltre. 
Il passaggio Jeanne d’Arc lascia una traccia che, se disposti a seguirla, ci permette di trovare molte porte e chiavi. 

Cosa rappresenta la voce di questa giovane ragazza uccisa perché nata donna in un contesto che non vedeva di buon occhio la sua consapevolezza e la voglia di condurre e guidare degli uomini? 

La sua voce era coraggio puro; esempio esplicito di una ribellione possibile e rischiosa. Una voce che permane. Jeanne osò porsi degli interrogativi, rifiutare un matrimonio combinato dalla famiglia, prendersi la responsabilità di agire, mettersi a capo di un esercito, avere un’armatura, creare un proprio stendardo senza possedere un titolo nobiliare, conseguire più vittorie, restituire il trono al delfino di Francia, rifiutare di smettere i propri abiti maschili, avere un rapporto personale e privilegiato con Dio non guidato dalla Chiesa. Osò soprattutto insistere nei propri errori, non ritrattare e accettare il rogo. La sua voce è stata il richiamo potente di una rivolta. 

Una delle tematiche chiave è il silenzio. Che rapporto ha lei col silenzio e come lo presenta tra le pagine di questo libro? 

È vero, ne parlo molto. Nel corso della narrazione emergono molti aspetti diversi del silenzio, compreso il silenzio che lascia maturare il grido di ribellione. Il silenzio che la ragazzina Giovanna sente come necessario è quello della consapevolezza che tace per raccogliersi, ascoltare. Tante voci non faranno mai una voce sola, il silenzio è uno; questo dirà agli studenti che la seguono. 
Il mio silenzio invece è quello del quale mi circondo, nel quale mi muovo; non riuscirei a farne a meno, è il mio respiro. Infatti vivo isolata in collina, dove i suoni della vita sono così unitari da risultare quiete. 

Altro elemento fondamentale è costituito dalla figura dell’angelo… 

L’angelo è stato il mio modo per affrontare il rapporto che Jaenne d’Arc aveva con l’assoluto, con le proprie visioni. Nel romanzo è con Giovanna a ogni passo, come presenza che interroga e non insegna. L’angelo è una figura senza ambiguità, sta esattamente in ciò che dice e tace la sua potenza. E le domande che rivolge a Giovanna, ai suoi studenti, sono rivolte anche a ognuno di noi. Per questo lascio l’interpretazione dell’angelo e delle sue tre domande a chi legge. 

Quale messaggio vuole trasmettere con questo libro? 

Nello scrivere lascio sempre molto spazio al lettore. Amo la precisione ma anche gli accenni. Mi piace pensare che questo romanzo possa divenire ancora e ancora. Cosa vorrei trasmettere? La possibilità di sguardo. Tutto qui.