Kim Ji-Young, nata nel 1982 di Cho Nam-Joo

Buona giornata cari Lettori! Saprete che nell'ultimo periodo ho letto diversi autori sudcoreani nel tentativo di approfondire la mia conoscenza su letteratura e cultura coreana. Uno dei titoli che mi attirava di più è proprio il romanzo di cui parliamo oggi. 

Nel romanzo troviamo questi dati: "Il divario di genere nel sud della Corea è il più alto tra i Paesi aderenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Secondo i dati del 2014, le donne che lavoravano in Corea guadagnavano solo il 63% rispetto agli uomini." Bisogna partire da questo presupposto e in generale dalla situazione in Corea per capire perchè l'autrice ha scritto una storia del genere. 

Kim Ji-Young, nata nel 1982 racconta la storia di una donna, una donna come tante, non a caso viene chiamata Kim Ji-Young, un nome estremamente diffuso in Sud Corea. Kim Ji-Young è una donna normalissima, ha 30 anni, è sposata, ha una bambina, ha lasciato il lavoro che amava per prendersi cura di lei. Come dicevo, potrebbe essere la storia di qualsiasi donna, ma un giorno Kim Ji-Young inizia a fingere di essere qualcun altro; prima si finge sua madre, poi una sua amica universitaria e avanti così. Ma non si tratta di finzione, è come se diventasse quelle donne dimenticando completamente la sua identità. Il marito decide di rivolgersi ad uno psichiatra ed è lui a registrare il racconto della vita di Kim Ji-Young nel tentativo di capire cosa le sia successo. 

Ed è proprio da questo momento in poi che il lettore si rende conto, capisce che la storia di questa donna è la storia di milioni di donne, non solo in Corea ma in tutto il mondo. In questo romanzo si fa un'analisi della società patriarcale coreana e di come ancora oggi le donne coreane sono sottoposte a pregiudizi e pressioni. Partendo dall'infanzia in cui si nota la differenza tra l'educazione impartita ai bambini e quella impartita alle bambine, fino ad arrivare all'adolescenza e all'inizio delle molestie, per poi arrivare al mondo del lavoro dove faticheranno a trovare un posto, poi verranno sfruttate, pagate meno degli uomini e alla fine, per quanto si impegnino, se decideranno di sposarsi e avere bambini, saranno costrette a lasciare quel lavoro. La beffa maggiore poi quando verranno pesantemente criticate perchè non lavorano, badano solo ai figli, e verranno accusate di essere delle parassite. 

Ora è chiaro che in questo romanzo si parla della donna coreana media, anche se io direi che è più corretto dire che si parla della donna media in generale, e che il discorso è molto più ampio di quello che può essere affrontato in poco più di 150 pagine. Ma Cho Nam-Joo è riuscita a dare voce ad un problema profondamente radicato nella società coreana e a farlo nel modo più semplice possibile. Lo stile del racconto è asciutto, lineare, a volte quasi impersonale e distaccato. Nonostante ciò è impossibile non immedesimarsi nella storia di Kim Ji-Young. É un racconto a tratti molto crudo, che fa riflettere, fa star male e che mi ha fatto molto arrabbiare. 

La storia di Kim-Ji Young è una storia di ingiustizie e di sacrifici, ingiustizie che ha dovuto subire solo perchè è nata donna, è inutile girarci intorno, non ci sono altri motivi. Non si parla solo di disparità di genere ma anche di maternità, di depressione, delle pressioni della società. Il libro si legge in due ore, potrebbe sembrare una storia ordinaria ma non lo è affatto. É un racconto profondamente doloroso e purtroppo ancora fin troppo reale. Il finale stesso, pur se molto aperto, non lascia particolare spazio alla speranza che le cose possano migliorare.

Perchè qualsiasi donna, almeno una volta nella vita, ha vissuto un'esperienza simile a quella di Kim Ji-Young, si è sentita come lei, è stata sminuita, è stata giudicata, è diventata colpevole quando invece era vittima, ha perso la sua voce, ha provato a ribellarsi ma non ce l'ha fatta. Perchè alla fine, tutte noi siamo Kim-Ji Young.

“Kim Ji-Young è ognuna di noi.


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