[Recensione] Le otto vite di una centenaria senza nome di Mirinae Lee

Le otto vite di una centenaria senza nome è uno dei tanti romanzi di autori coreani che sono usciti e usciranno anche nei prosismi mesi del 2024. Per me che amo follemente la letteratura sudcoreana e che sono alla costante ricerca di nuovi autori da leggere, è una gioia vederne tanti in libreria e altrettanti tra le prossime uscite. Fino a qualche anno fa ero costretta a leggerli in inglese perchè era impossiible vederli tradotti in italiano. E invece sembra che finalmente anche la letteratura sudcoreana, oltre al K-pop e ai K-drama, sia pronta a conquistare il mondo.

Tornando al romanzo, la storia inizia in una casa di riposo dove una delle dipendenti decide di avviare un progetto che permetta alle persone ospiti della struttura di poter scrivere il proprio necrologio. Una delle ospiti, Mook Miran, acconsente a raccontare la sua storia, ma quella che per gioco chiama ormai la sua biografa personale non si aspetta un racconto di quel calibro. Perchè Mook Miran ha avuto tante vite, forse troppe, ed è stata tante cose. 8 vite che ne racchiudono in realtà una sola, ricca, dolorosa, unica.

Penso che la particolarità di questo romanzo sia nel modo in cui l'autrice ha scelto di raccontare la storia. Dopo una breve introduzione è la voce di Miran stessa, e in seguito anche di altri personaggi, a raccontare. Ma non si tratta di un racconto lineare che segue una linea temporale ben precisa. I racconti delle 8 vite della protagonista ci vengono narrati in ordine sparso, apparentemente in modo casuale. Questa scelta, che inizialmente potrebbe confondere il lettore, si rivela vincente e non solo perchè dà maggiore originalità al racconto, ma anche perchè ci permette di coglierne molte più sfumature. 

Protagonista indscussa è questa donna eccezionale, quasi centenaria, che per la prima volta nella sua vita racconta tutto quello che è stata, tutto quello che ha dovuto fare per sopravvivere. Mook Miran è stata una ragazzina innocente vittima dei maltrattamenti del padre, è stata spia e assassina, è stata una comfort women, una pagina della storia che riguarda le donne coreane terribile, è stata moglie e madre, è stata tante altre cose. Personaggio profondamente umano e intrigante, è una donna forte che non si perde mai d'animo ma che trova sempre il coraggio di reagire anche quando sembra che non ci sia più speranza.

Come accennavo il racconto parla di due periodi storici complicati per la Corea, prima la Seconda Guerra mondiale e poi la Guerra di Corea. Si parla delle comfort women, dell'occupazione giapponese e di molto altro. In più il racconto è ambientato in larga parte in Corea del Nord, ambientazione non semplice e caratterizzata da un passato davvero difficile che emerge perfettamente dalle pagine. 

Sono tantissimi i temi toccati in questo romanzo, amore, sofferenza, famiglia e relazioni. Viene esplorato anche il concetto di (jeong), parola coreana intraducibile che secondo la definizione dell'Istituto Culturale Coreano potrebbe essere descritta come "un attaccamento malsano, una pietà superflua. É un concetto proprio della cultura coreana che racchiude in sè amicizia, affetto, dedizione e molto altro... In generale jeong indica il legame che unisce due persone e tutte le azioni e i sentimenti da esso derivati. Questo concetto può coinvolgere persone con un rapporto profondo ma anche dei perfetti sconosciuti."

Concetto che ha una doppia faccia, perchè può essere positivo ma anche avere tanti risvolti negativi. L'autrice è molto brava a parlarne, ho apprezzato moltissimo lo stile del racconto. Delicato, coninvolgente, estremamente scorrevole ma non banale. Insomma, penso si sia capito benissimo che ho amato questo romanzo, moltissimo. A tratti crudo ma anche molto onesto, è una storia che vi ruberà il cuore con una protagonista indimenticabile. Buona lettura!

Le parole non sono solo parole. Sono molto più che un semplice strumento per farsi capire. Possono addirittura cambiare il tuo modo di pensare e, tramite le parole, tu stessa puoi influenzare il modo di pensare degli altri. Non è mai una cosa a senso unico.”


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