La cartolina di Anne Berest

Buona giornata cari Lettori! Dopo una lunga latitanza causa Covid torniamo a parlare di libri. In particolare oggi voglio parlarvi di una delle ultime uscite targate Edizioni E/O, un romanzo a metà tra ricostruzione storica e indagine familiare. 

La cartolina racconta la storia della famiglia Rabinovitch, ebrei russi che viaggiano da una parte all'altra dell'Europa, passando per la Palestina, fino ad approdare a Parigi negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale. Il racconto inizia però nel presente quando alla madre di Anne Berest viene recapitata una strana cartolina su cui sono riportati solo 4 nomi: Ephraïm, Emma, Noémie e Jacques. I nomi dei nonni e degli zii morti ad Auschwitz. L'unica sopravvissuta della famiglia è stata Myriam, nonna di Anne, che riuscì a scappare prima dell'arresto e successivamente fece parte della resistenza francese.

Iniziando una lunga indagine che la porterà a indagare sul passato della sua famiglia, Anne conduce una ricerca che affonda le sue radici nei terribili anni della guerra e scopre quanto il passato sia ancora legato al presente e al suo futuro.  

Una delle cose che ho apprezzato di più in questo racconto è l'originalità con cui viene narrata la storia. Non si tratta infatti del classico romanzo sulla Shoah; è vero che il tema centrale da cui si parte è quello, parliamo di una famiglia ebrea vissuta esattamente durante quegli anni, di una famiglia che ha vissuto la deportazione, la morte nei campi, la persecuzione. Ma questo non si limita ad essere l'unico tema del libro. Centrale è il tema della memoria, del ricordo, ma non solo. Scavando nella storia della famiglia l'autrice riesce a riflettere anche su sè stessa, su quanto quella storia, anche se spesso ignorata, l'ha resa quella che è e in un certo modo ha influenzato tutte le sue scelte. Ad un certo punto del racconto si chiede:

"Che potere hanno esercitato questi nomi sulle nostre vite e sul nostro rapporto? Mi chiedo cosa possiamo dedurre e costruire da questa storia di nomi, nomi che appaiono brutalmente nella cartolina come se ce li tirassero in faccia, nomi nascosti nei nostri patronimici. Mi chiedo che conseguenza, felici o tristi, abbiano avuto sui nostri caratteri. Quei nomi dalle consonanze ebraiche sono come una pelle sotto la pelle, la pelle di una storia più grande di noi che ci precede e ci supera. Mi accorgo che hanno fatto entrare in noi qualcosa che ci turba, la nozione di destino."

Con stile lineare, molto simile a quello di un reportage, ma allo stesso tempo estremamente evocativo ed emozionante, Anne Berest intesse un racconto che attraversa secoli di storia. Mi è piaciuto molto il taglio che ha dato alla storia, ho apprezzato i precisi accenni storici ma anche il modo in cui lei stessa è riuscita a raccontarsi. Nel libro trovano spazio anche numerose riflessioni su razzismo, indifferenza, su cosa significhi essere diversi, in questo caso in particolare su cosa significhi essere ebrei. Attualissima la riflessione di Leila che a un certo punto dice che "L'indifferenza riguarda tutti. Verso chi sei indifferente oggi? Poniti la domanda. Quali vittime che vivono nelle tende o sotto i ponti dell'autostrada o relegati lontano dalle città sono i tuoi invisibili?".

 I capitoli ambientati nel passato si alternano a quelli dedicati alla ricerca, in cui a raccontare troviamo sia Anne che sua madre. É stato molto interessante mettere a confronto i punti di vista di queste due donne, accomunate da un passato che costituisce un bagaglio pesante ma a cui reagiscono in modo molto diverso. Memoir, racconto familiare e indagine si intrecciano in questo libro che ho trovato davvero bellissimo e molto commovente. Decisamente una delle migliori letture dell'anno. 

“A dokh leben oune liebkheit. Dous ken gournicht gournicht zein. Ma vivere senza tenerezza non sarebbe possibile.


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