Pachinko. La moglie coreana di Min Jin Lee

Buona giornata cari Lettori! Dopo una piccola pausa, dovuta principalmente ad una sorta di blocco del lettore di cui sono stata vittima, torno a parlarvi di libri con un bel romanzo familiare.

Pachinko. La moglie coreana è il romanzo che ha segnato la fama di Min Jin Lee, autrice americana di origini coreane. Nell'ultimo periodo mi sono appassionata moltissimo alla cultura coreana, prima con i K-Drama e successivamente con il K-pop. A seguire non potevo che cercare di approfondire anche la letteratura di questo paese che mi affascina così tanto. Ho fatto qualche ricerca e tra i titoli Pachinko era uno dei più consigliati e apprezzati.

La storia percorre un arco di tempo piuttosto lungo, dal 1910 al 1989, e si concentra sulla storia di Sunya e della sua famiglia. Il racconto inizia prima della sua nascita, ma lei resta la vera protagonista per buona parte del racconto. Quando Sunya è solo adolescente l'incontro con il ricco Koh Hansu le cambia completamente la vita. Abbandonata e incinta, Sunya viene aiutata da un giovane pastore presbiteriano, Baek Isak, che decide di sposarla e di portarla con sè in Giappone, a Osaka, dove spera di iniziare una nuova vita. Il Giappone però non è un bel posto per i coreani; l'occupazione giapponese della Corea e la successiva ondata migratoria, ha portato moltissimi coreani a cercare una nuova vita e un lavoro in Giappone, ma il paese non brilla certo per comprensione e accoglienza per gli stranieri coreani che vengono costantemente messi da parte, giudicati e ritenuti inferiori. É in questo clima che Sunya e Isak, e in seguito i loro figli Noa e Mozasu, si trovano a vivere. Una continua partita in cui la fortuna ha un ruolo fondamentale, esattamente come avviene nel Pachinko giapponese.

"La storia ci ha traditi, ma non importa."

Questo racconto familiare copre un lungo periodo di tempo che percorre gli anni della guerra e dell'occupazione giapponese in Corea. Può contare sulla presenza di un gran numero di personaggi, uomini e donne coreani che si trovano a vivere da ospiti non voluti in un Giappone che li sfrutta ma che non sarà mai pronto ad accoglierli davvero. I tanti personaggi e il tono stesso del racconto rendono questa storia una vera e propria saga familiare racchiusa però in un solo corposo volume.

Lo stile dell'autrice è ricercato ma scorrevole. Mi sono piaciute moltissimo le descrizioni di ambienti e luoghi, dalla Corea al Giappone. Devo ammettere però che quello che rende Pachinko un romanzo così ben riuscito sono sicuramente i suoi personaggi. Partendo dai genitori di Sunya in Corea, passando per lei stessa, Isak e Hansu, arrivando poi alle nuove generazioni, Noa e Mozasu, e infine Solomon, l'ultimo tassello della storia che ricongiunge tutto e che racchiude in sè l'intero messaggio dell'autrice e probabilmente anche l'intento del racconto.

In questo romanzo si parla di famiglia, di amore, di legami, ma sopratutto della difficoltà di essere stranieri in quello che si considera il proprio paese. É ben sviluppato il tema dell'identità, strettamente collegato alla ricerca di una felicità che i personaggi sembrano poter raggiungere solo arrivando ad essere riconosciuti come semplici esseri umani, non più come gaijin. Ovviamente si parla anche di razzismo, di intolleranza in tutte le sue sfaccettature. É anche un romanzo in cui trovano spazio temi femminili, le protagoniste di questo racconto sono dei personaggi estremamente sfaccettati. 

Ho amato molto questo romanzo, l'ho trovato ben scritto, intrigante e coinvolgente. É stato capace di farmi passare il blocco del lettore delle ultime settimane in cui non sono riuscita a leggere neanche una pagina. In particolare ho apprezzato il modo in cui Min Jin Lee è riuscita a dare voce ad una storia poco conosciuta, quella dei coreani in Giappone, e a farci conoscere meglio una cultura che è tanto lontana da noi ma che è ricca di bellezza. Buona lettura!

Il destino di tutte era soffrire: soffrire da ragazze, soffrire da mogli, soffrire da madri, morire soffrendo. Go-saeng, quella parola le dava la nausea. Ma che altro c’era oltre la sofferenza?


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