Atti umani di Han Kang

Buona giornata cari Lettori. Oggi parliamo di un altro romanzo di Han Kang, autrice del particolarissimo La vegetariana, che con questo libro mi ha definitivamente conquistata.

Atti umani. Atti disumani.

"Dopo avervi perso, tutte le nostre ore sono declinate nella sera.

Sera sono le nostre strade e le nostre case.

In questa penombra che più non annotta nè schiarisce, mangiamo, camminiamo e dormiamo.

Dopo la tua morte non ho potuto tenere un funerale, così questi occhi che un tempo ti guardavano sono diventati un santuario.

Queste orecchie che un tempo ascoltavano la tua voce sono diventate un santuario.

Questi polmoni che un tempo inalavano il tuo respiro sono diventati un santuario.

Dopo la tua morte non ho potuto tenere un funerale, così la mia vita è diventata un funerale.

Dopo che ti hanno avvolto in un telone cerato e portato via su un camion dell'immondizia.

Dopo che getti d'acqua scintillanti sono imperdonabilmente zampillati dalla fontana.

Ovunque ardono le luci dei santuari.

Nei fiori che sbocciano a primavera, nei fiocchi di neve. Nelle sere che chiudono ogni giorno. Sfavillii di candele, che bruciano in bottigliette vuote."

Un romanzo inchiesta sulla tragedia dimenticata di Gwangju. Nel maggio del 1980 Gwangju diventa centro di un massacro. L'esercito, chiamato a reprimere le proteste pacifiche di studenti e operai, apre il fuoco sulla folla compiendo una carneficina che per anni verrà minimizzata, insabbiata, quasi dimenticata. Con precisione chirurgica, quasi maniacale, Han Kang racconta il massacro di Gwangju attraverso gli occhi di sette personaggi. Sette punti di vista, dal 1980 al 2013, dal ragazzo vittima alla madre in lutto, dai sopravvissuti alla scrittrice che raccoglie le loro testimonianze.

"Alcuni ricordi non cicatrizzano mai. Invece di sbiadire con il passare del tempo, sono gli unici a sopravvivere quando tutti gli altri si sono cancellati."

Delicatissimo, anche nel descrivere i particolari più raccapriccianti, poetico nello stile, onesto e brutale. Han Kang non ci risparmia tutta la crudeltà, l'orrore e la brutalità di una repressione che non aveva ragione di essere tanto violenta. I racconti di chi sopravvive, i racconti di chi muore, il silenzio delle strade di Gwangju deserte, gli spari che squarciano il silenzio, le troppe giovani vite spezzate, tradite dal loro stesso paese, da chi avrebbe dovuto proteggerli. E poi il senso di colpa di chi resta, di chi è sopravvissuto e non riesce a scendere a patti con quello che è stato.

"Perchè per me le stagioni continuavano a succedere, mentre per lui il tempo si era fermato per sempre a quel maggio?"

Quella di Han Kang è una testimonianza preziosa, un coro di voci a cui finalmente viene dato spazio, che finalmente viene ascoltato. E alla fine resta solo una domanda.

“Come si fa a sopravvivere a questo frastuono?”



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