Bungiorno miei cari Lettori! Iniziamo questo fine settimana con uno splendido Blog Tour, la nostra tappa cade oggi.
Godetevi l'intervista all'autrice e l'estratto del libro!
Quando è nata la tua passione per la scrittura?
Mi rendo conto che adesso voi state pensando che leggo libri fin da quando ero una blastula nell’utero di mia madre e scrivo romanzi da quando ho iniziato a gattonare. Però non è così. È vero che a scuola ho sempre preferito l’italiano alla matematica (e infatti ho scelto il liceo scientifico per puro masochismo), ma ovviamente scrivere un tema o un romanzo non sono proprio la stessa cosa.
Ho sempre inventato storie, questo sì.
L’idea di scriverle, queste storie, è nata per caso: per gioco, in realtà. Un pomeriggio d’estate del 2008, scherzando con mio marito sul mutuo da pagare, mi disse che avrei dovuto mettermi a scrivere le mie storie, così sarei diventata famosa come la Rowling e ci saremmo trasferiti in un castello senza più il mutuo da pagare. Ora, ovviamente non abitiamo in un castello (e il trasferimento non pare neanche tanto imminente, per la verità) e la rata del mutuo arriva puntuale ogni mese come le mestruazioni, però ho scoperto che scrivere mi piace sopra ogni cosa. Oggi i libri sono diventati la mia più grande passione e ora non so più come si fa a smettere.
Da dove nasce l’idea di “Tutta colpa del mare”?
Dal film “Una notte da leoni”. Ho riso fino alle lacrime la prima volta che l’ho visto e mi sono chiesta cosa sarebbe successo se fossero state quattro ragazze le protagoniste di una sbornia colossale come quella del “Branco”. Poi, siccome sono una romanticona, ci ho infilato anche una sostanziosa parte romance, con il ritorno del primo amore, quello mai davvero dimenticato, che vive ancora nel cuore di ognuno di noi. E il cocktail – è il caso di dirlo ‒ era fatto!
Un mojito ti cambia la vita. Potrebbe essere un’espressione giusta per Maia?
Direi proprio di sì. La mia protagonista vive una vita misurata in ogni senso: è perennemente a dieta, rigorosamente astemia, ma anche tanto (inconsapevolmente) infelice. Maia, infatti, non si rende conto che quella che sta vivendo non è la vita che vuole, ma quella che vorrebbero gli altri per lei, e le ci vuole una pazza serata con le amiche in Versilia - dove scolano fiumi di mojito (non uno solo com’è nel titolo del libro, in realtà!) - per farle finalmente perdere il controllo. E a volte uno scossone è proprio quello che ci vuole per far crollare ogni certezza e uscire dagli schemi. Solo allora possiamo renderci conto di chi siamo e cosa vogliamo davvero. Per Maia, almeno, è così.
Qual è stata la difficoltà maggiore nello scrivere questo romanzo?
La difficoltà più grande è stata dover tagliare il testo fino a portarlo alle 200mila battute richieste dalla casa editrice per questa collana. La storia in origine era un romanzo lungo e doverlo tagliare è stato abbastanza doloroso. Specie per una come me che non ha il dono della sintesi, come potete vedere da queste risposte chilometriche.
Qualche consiglio per chi vorrebbe seguire il tuo esempio?
Oddio, io non sono mica tanto brava a dare consigli, sono più brava a chiederli. L’unica cosa che posso dire, a costo di sembrare scontata e pure un po’ patetica, è di non arrendersi mai, di non abbattersi di fronte alle difficoltà e alle porte sbattute in faccia, ma imparare dai propri errori e riprendere il cammino più forti di prima. Con i libri, così come nella vita. Perché i sogni a volte, possono diventare una fantasmagorica realtà.
“Comunque, secondo me sei una secchiona” esordì Marco,
estraniandosi dagli altri.
Gli sorrisi imbarazzata, alzando la mano. “Liceo
classico ‘Sarpi’, capoclasse, prima fila”.
“Lo sapevo!”
Sorrise con gli occhi sbarrati. “Quest’anno sono
passato con tutti sei per il rotto della cuffia. Con la mia pagella ci si può invocare il demonio!”
Ridemmo e poi tornò a chiedermi: “E dopo che farai? Lo
sai già?”.
“Be’, intanto so che a settembre partirò per Boston,
dove frequenterò l’ultimo anno. Poi, quando tornerò, farò Scienze della
Comunicazione alla Bocconi a Milano. E poi diventerò una giornalista d’assalto
e…”
“E poi potrai realizzare il tuo piano segreto di conquistare il mondo!?”
Roteai gli occhi. “Be’, sì! Mi hai scoperta! E tu?”
Lui si strinse nelle spalle. “Io credo che impiegherò l’ultimo
anno di Istituto Tecnico a far riemergere Satana da un abisso fiammeggiante,
poi non lo so…”
Scoppiammo a ridere e poi passammo tutta le serata
insieme a prenderci in giro. I chiari e immediati segnali di affinità furono,
nell’ordine: l’amore per il Winner Taco
e quello per i Radiohead, e l’odio per i bugiardi e i carciofi.
“Perché non ci suoni qualcosa?” domandò a un certo
punto Rosa, facendo cenno alla chitarra che Marco aveva tra le gambe
incrociate. E così la serata virò in una specie di remake di “Sapore di mare”,
con un madley di canzoni che sembravano uscire da un juke box impazzito. La
musica si fondeva con le risate e le risate vibravano a tempo di musica.
All’improvviso Marco si bloccò e mi scoccò un’occhiata
indecifrabile. “Ma sai che canti proprio bene?” commentò sorpreso, poi si voltò
verso il suo amico che stava baciando Rosa. “Non è vero, Tommi?”
“Mhm…”
Infischiandosene della risposta, tornò a me. “Apetta, dovremmo fare un duo una di
queste sere…”
Sgranai gli occhi, per lo stupore e la meraviglia che
gli piacesse la mia voce. “Ma sei matto?”
“No, vieni!” Si alzò e mi allungò una mano.
All’occhiata che mi scoccò, nel mio stomaco non
presero a volare le farfalle, ma dei veri e maestosissimi condor giganti. Per
poco non mi andò di traverso il cocktail che stavo bevendo. “Dove?” biascicai,
afferrandola.
“Andiamo a discutere i dettagli di questa nuova featuring
da un’altra parte!”
Il suo entusiasmo riusciva a confondermi persino più
dei suoi occhi.
Annuii tra le risatine degli altri, e mi incamminai
verso il bagnasciuga vicino a lui.
Da come si misero le cose, capii che probabilmente
saremmo arrivati al mare all’incirca l’indomani mattina, visto che Marco si
fermava ogni volta che doveva dirmi qualcosa sul nostro sfolgorante futuro
musicale, e cioè ogni due secondi.
“Guarda che è possibile anche parlare e camminare, sai?!”
gli spiegai divertita.
“Ah, sì, certo!” rispose grattandosi la nuca. Così
riprese a camminare mentre mi diceva che dovevamo assolutamente cantare insieme
perché, cavolo, avremmo “spaccato”. Due secondi dopo però, mi afferrò per un
braccio costringendomi a fermarmi: proprio non ce la faceva.
Mi sfuggì una risatina mentre lui riprese a spiegarmi
che sì, sarebbe stato fantastico, lui mi avrebbe accompagnato con la chitarra e
io avrei cantato, che una presenza femminile nella band era proprio quello che
mancava per fare il grande salto e “spaccare” tutto, che lui sarebbe stato
Johnny Cash e io la sua June.
Riuscivo quasi a sentire il battito folle del suo
cuore mentre mi faceva vedere ciò che la sua sfrenata fantasia era riuscita a
creare in così poco tempo.
E la cosa più folle era che io, timida e insicura, a
un certo punto mi ritrovai a pensare, Perché no? E poi mi risposi da
sola, perché insieme a quel ragazzo pazzo tutto sembrava possibile e
abbagliante e meraviglioso.
“Wow! Sei meraviglioso…”
Oh, Dio! Avrei voluto che in quel momento un mostro
marino fosse schizzato fuori dall’acqua per mangiarmi in un boccone. Non potevo
credere di aver detto una cosa simile ad alta voce e neanche lui. Il suo sorriso adesso era talmente luminoso
che avrebbe potuto essere un faro gigante per tutte le navicelle spaziali della
galassia.
“Be’, grazie, Apetta! E tu sei… wow!”
Già, wow!
Si fermò di nuovo e pensai che volesse continuare con
la storia di Johnny e June, e invece no.