Racconto: "Diario di Black Gray - Le indagini Paranormali di Fedor Chastel " #3

Buon Pomeriggio, eccoci con una nuova puntata delle indagini di Fedor Chastel...
Qui il sole splende luminoso, il sorriso e l'allegria si spandon nell'aria. Nel villaggio di Ash però un nuovo misfatto è accaduto...

III PARTE

Il fabbro lo guardò in un modo che non seppe definire bene.Un lampo, nient’affatto benevolo, passò in quegli occhi. Un lampo omicida. 

Fedor trovò il fabbro nella sua fucina. Il battere incessante del martello sull’incudine risvegliò il suo mal di testa mentre cercava invano di attirare l’attenzione dell’uomo. Si erano parlati subito dopo il loro arrivo al villaggio, al termine della cerimonia di sepoltura di sua nipote. Già, perché Mary era orfana di entrambi i genitori ed era stata cresciuta da zio Jeres, il fabbro appunto, nonché il factotum del villaggio, rimasto vedovo dopo la nascita dell’ultimo dei suoi tre figli maschi. La moglie era morta di peste, secondo il racconto dell’uomo. In verità più che un’epidemia era stata una vera e propria strage. In cui erano morte tutte le donne di Ash?! Si chiese ancora una volta. Mah … 
“Salve” urlò l’ispettore, cercando di sovrastare il fastidioso rumore metallico.
Lui si voltò guardandolo appena. Di primo acchito sembrò non volergli dare retta, poi interruppe quel rumore infernale e si pulì le mani sul grembiule di pelle. “Cosa posso fare per voi, ispettore!”. Il tono non era dei più cordiali e ancora una volta si chiese perché quell’uomo non gli piacesse. Il volto rotondo e buffo tradiva occhi piccoli e perennemente sospettosi. Si, c’era qualcosa che non andava in quel tipo.“Vi ruberò poco tempo, volevo un favore”. Fedor sapeva che nella maggior parte dei casi era meglio venire subito al sodo piuttosto che girarci intorno.
“Chiedete pure”. Jeres si allontanò dalla fiamma e si avvicinò al tavolo degli arnesi, lì dove Fedor si era fermato. Prese una serie di scalpellini che infilò rapido nelle tasche del grembiule, quindi gli rivolse la sua attenzione. L’ispettore seguì il gesto. Lo fissò in viso.  “Stiamo portando un po’ di scompiglio nel villaggio - buttò lì -  ma capirete che è l’unico modo di venire a capo di questa situazione”.“Certo” fece l’uomo, abbassando gli occhi e rialzandoli di scatto subito dopo. “Quello che non capisco è perché solo ora il maresciallo si sia ricordato di noi e in cosa, io, possa esservi utile!” Fedor ebbe un attimo di imbarazzo. Un’osservazione più che lecita. La polizia locale li aveva abbandonati per mesi, lasciandoli al loro destino, ma ora, per un capriccio del governatore, che aveva scoperto per caso questa macchia sulla mappa del Kenter, si trovavano due sbirri tra loro. Di sicuro non erano avvezzi ad estranei in giro per il villaggio. Anzi, sembravano non tollerarli affatto. Questo era il motivo dell’ostilità del fabbro e quello per cui era convinto che il colpevole si celasse tra loro. Quella gente era rassegnata, ma quanto mai decisa a nascondere e nascondersi. Come se avesse accettato il suo destino. Come se conoscessero il colpevole o i colpevoli e li proteggessero, loro malgrado …
Non poteva essere opera di uno solo. Fedor ne era convinto. Scelse ancora una volta un approccio diplomatico.“Ho bisogno del vostro aiuto. Qui siete una sorta di capo villaggio e io vorrei poter parlare con tutti gli abitanti per vedere se viene fuori qualcosa di più, rispetto a quello che sappiamo ora!” Il fabbro lo guardò in un modo che non seppe definire bene. Un lampo, nient’affatto benevolo, passò in quegli occhi. Un lampo omicida. Lo vide stringere uno dei suoi grossi pugni. Quell’uomo era un colosso, avrebbe potuto ucciderlo con la sola forza delle mani. Fedor ignorò quel pensiero e proseguì deciso. “E’ necessario. Al di là di quello che si vuole far credere, penso ci sia una mano più che umana dietro questi omicidi, ma ho bisogno dell’aiuto di tutti per scoprire il colpevole o i colpevoli …”. Lanciato quella sorta di ultimatum, gli rivolse uno sguardo significativo prima di andarsene. Fece qualche passo e si fermò. Parlò senza voltarsi. “Ah, un’altra cosa, naturalmente vorrei ci fossero tutti! - aggiunse mettendo una particolare enfasi sul tutti. “Credi che l’intero villaggio sia coinvolto?” chiese Delvin scettico. Lui e Fedor si stavano scambiando le rispettive novità e impressioni dopo le indagini parallele condotte per l’intera giornata. Lo scontro di quella mattina era stato archiviato. Ma Delvin non intendeva mollare. Aveva ragione. E Fedor lo sapeva. Ma le indagini venivano prima di tutto. L’incontro con il governatore era stato rapido ed essenziale: avevano non più di una settimana per risolvere il caso, dopo di che potevano tornarsene da dove erano venuti. La fama del villaggio maledetto si era diffusa ben oltre il Kenter e aveva richiamato un’attenzione che infastidiva e danneggiava l’immagine del suo governatore. Fedor stava ripercorrendo mentalmente la scena. Erano ben consapevoli della gravità della situazione, ma l’arroganza assoluta e quell’atteggiamento di aperta superiorità gli avevano fatto venir voglia di sbattergli in faccia i mesi di inoperatività della sua polizia, del suo connestabile e del suo maresciallo. Non era certo loro la colpa di quella incresciosa situazione! Semmai ne erano stati danneggiati a loro volta! Delvin si era limitato ad irrigidirsi accanto a lui, ignorando il palese affronto. Lui invece aveva ingoiato amaro. Sapeva che non potevano permettersi colpi di testa.“Chiuderemo il caso prima del tempo concessoci!”.
La risposta, la promessa di una pronta risoluzione e il cenno di assenso che Delvin aveva indirizzato ai tre autorevoli imbecilli davanti a loro, a sostegno di quanto affermato dall’amico, parvero sortire l’effetto voluto su quel borioso pancione. E sui suoi tirapiedi. Dopo il rapido incontro con il governatore, Fedor si era recato all’ospitaletto lì vicino. Delvin era rimasto a recuperare i loro cavalli. Lì aveva scoperto che non vi era alcuna traccia di ricoveri di pazienti del villaggio, di quarantena o di una qualsiasi richiesta d’aiuto o altra comunicazione. Anche secondo loro, come avevano scoperto anche alla polizia e alle autorità sanitarie, non vi era stata alcuna epidemia di peste. Quando Delvin si era recato da padre Gregor per consultare il registro di nascite e decessi, quest’ultimo gli aveva detto che era andato tutto perduto in un incendio, scoppiato durante la pestilenza - il prete e il fabbro allora avevano mentito? - e gli unici dati registrati erano quelli degli ultimi sei mesi, il periodo in cui si erano verificate le morti. Altra casualità a dir poco strana. Come se qualcuno avesse voluto cancellare qualsiasi traccia antecedente la strage delle bambine. Era sempre più convinto che bisognava partire da lì. Qualunque cosa ci fosse dietro quelle morti infatti, aveva avuto origine nello stesso periodo che avevano voluto cancellare. Da lì e dalla peste. O meglio, dalla falsa epidemia di peste.
La mente analitica di Fedor stava seguendo il corso frenetico dei suoi pensieri, come gli capitava spesso. Un discreto colpo di tosse lo riportò alla realtà.
Si scosse. Qual’era la domanda? Ah si, se credeva che l’intero villaggio fosse colpevole! “No, voglio almeno sperarlo. Di sicuro il fabbro lo è!”. La sua cavalcatura si mosse irrequieta. Delvin tirò le redini e si voltò nella sua direzione. Stavano tornando da Dones. Nel palazzo della polizia avevano recuperato le rispettive cavalcature, dopo che quella mattina lo stalliere del villaggio li aveva accompagnati in città.“Non so cosa ci sia sotto ma, quell’uomo non mi piace”. Fedor si passò una mano tra i lunghi capelli bianchi. Sospirò. Delvin strinse più forte le redini. Non piaceva neanche a lui. Ma sapeva che c’era dell’altro. Attese. “Sai che la notte non dormo quasi mai - proseguì l’amico. Era un dato di fatto. Annui. L’altra notte, mentre fumavo affacciato alla finestra, l’ho visto entrare e uscire da una delle case dove eravamo stati la mattina stessa …” Il collega esplose. “Il nostro fabbro è andato ad accertarsi che non avessero parlato coi due sbirri!” Poi sembrò pensarci su e domandò. “Perché diamine non me l’hai detto prima?”Fedor sbuffò.“Perché da sola non era una prova del suo coinvolgimento. Mentre tu eri dal prete io sono andato da lui e ho chiesto la convocazione di un’assemblea dell’intero villaggio.”“Per l’affare delle donne” incalzò Delvin.“Si, ma anche perché volevo vedere la sua reazione”. Si interruppe fissandolo. “Ti assicuro che è stata molto interessante. E poi volevo appurare un’altra cosa.”
“E cioè?” nella voce dell’amico si leggeva una punta d’impazienza. Odiava quando gli forniva informazioni a metà.“Che avesse degli arnesi adatti a cavare bulbi oculari”.
Delvin lo guardò sorpreso. “All’occorrenza è anche il cerusico del villaggio …” disse mentre nella sua mente prendevano forma, senso e implicazioni di tale ipotesi. C’era anche una mano umana … glielo concedeva! Fedor lo fissò con assoluto compiacimento. Una leggera folata di vento fece ricadere una ciocca bianca davanti ai suoi occhi scuri. La sistemò dietro un orecchio, senza distogliere lo sguardo dall’amico.
“Si, e non è tutto. Ho visto gli scalpellini. Ne ha centinaia!”. Delvin fischiò. Lo fissò e in un lampo pensieri e azione passarono dall’uno all’altro.“Che aspettiamo allora, andiamo dal fabbro!” gridò piantando gli stivali nei fianchi dell’animale che partì spedito verso il villaggio. Fedor lo seguì ...continua

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