Recensione: Racconti solidi come castelli di carta
Concludiamo la settimana con la nostra Rubrica: Scrittori Emergenti
in collaborazione con MariaGrazia di SannioLife. Ho già parlato di questi autori ed ecco la sua Recensione. Potrete, naturalmente, trovare il libro nella nostra Libreria oppure potrà essere spedito direttamente a casa vostra, SPESE di SPEDIZIONE GRATUITE!
Di solito i sequel sono un banco di prova: condanna o consacrazione. Crediamo che con questa seconda uscita gli Oschi Loschi consacrino un nuovo genere letterario: quello losco, ma soprattutto … osco! Campanilismo a parte, ad un anno di distanza dall’esordio, ritornano, più numerosi che pria, e siamo già in attesa del terzo, mentre i fumi dell’ultima pubblicazione ancora ci assalgono …Per i lettori di SannioLife e per quelli de La Fenice, questa settimana proponiamo venti autori, venti racconti e venti colonne sonore. Tutto in uno. Tutto in Oschi Loschi racconti solidi come castelli di carte.
E le carte napoletane sono il punto di partenza, con i relativi quattro semi: coppe, spade, denari, bastoni, ripresi anche nell’intrigante intreccio visivo della copertina di Aurora Lobina.
Prezzo: 10,00€ Uscito:2011 Pagine:180 p. brossura Curatore Ignelzi F. Editore Never Mind - Media & Press |
Per alcuni è un ritorno, per altri l’esordio in un’antologia che nulla perde dello smalto iniziale, anzi acquista in intrecci paradossali (perché come diceva uno che la sapeva lunga, le cose più assurde sono quelle reali!!!!) ironia, sarcasmo, in quel niente filtri che è la chiave della rivoluzione letteraria dell’osco losco, un genere bruciante che si dipana in una complicità mentale e narrativa differenziata nonché complessa nelle sue molteplici e intriganti sfaccettature, ma spaventosamente attuale per realismo e lucidità. Ci sono uscite di testa, stoccate, parate, mazzate e … chi ha orecchie per intendere intenda!!!
Ma cominciamo con questa sorta di recensione, che, gli autori non me ne vogliano, cercherò di condurre in maniera adeguatamente losca, per quanto mi sarà possibile …
Saltiamo l’introduzione, ma la riprendiamo dopo.
Seguendo il filo dei racconti si parte dalle Coppe: l’ebbro destino e le sue ombre inquiete.
Ad aprire le danze (il gioco di parole verrà forse in mente con il secondo racconto …) è Flavio Ignelzi, il curatore di questa seconda edizione, che oltre ad una sorta di contro-introduzione efferatamente dissacrante, ha, anche stavolta, l’onere e l’onore di iniziare a raccontare … Il losco baratro si spalanca: Parce sepulto.
Al di là del titolo di virgiliana memoria, il racconto catapulta subito il lettore in un’atmosfera fumosa dove un improbabile Dio - qui ha influito il sottile gioco letterario dell’autore - ci trascina tra sacro e profano sulla scia dell’effluvio dionisiaco … fino al meritato riposa in pace!!! A smaltire la sbornia iniziale ci pensa Emilio Fabozzi che con L’ultima Milonga ci lascia svenuti insieme a Filippo nell’illusione di quell’ultimo tango … perso in una notte qualsiasi, in mezzo ad una strada qualsiasi tinta del rosso del sangue e del giallo di cui macchia la sua storia … mentre Alessandro Paolo Lombardo celebra il Trionfo di Specchia in quel riflesso amico e nemico che ci risucchia nel vortice del nostro stesso ego. Atmosfera più rilassante, apparentemente, con ore 15 di Isabella Pedicini … ma è un’illusione, anche lei alla fine riesuma l’ombra inquieta della moglie dell’ambasciatore, tornata a tormentarlo sotto forma di busto; mentre arrivano I due bottoni di Daniele Viola che c’entrano, come un pugno in piena faccia la tristezza di una giornata qualunque
…Scolata la coppa tutta d’un sorso è la volta delle Spade: colpi al cuore per placare la sete di vendetta. Ci prepariamo, ma anche qui va tutto oltre ogni aspettativa. Anna Lisa De Mercurio nella sua Camera Oscura sviluppa scatti continui, fotografando una di quelle storie che crediamo di sapere già come andrà a finire, ma poi non è così … e resta quell’amaro in bocca con un dolce retrogusto di vendetta che anticipa il secondo colpo (e sono continui!!!). Efferata vendicatrice è la bambina di Maria Elena Napodano, che ritorna con un’affascinante sorta di clone infantile di Kill Bill, al punto che preme dire ai lettori: attenti se Greta strizza gli occhi perché non c’è coscienza che tenga, lei deve proprio … in uno strabiliante susseguirsi di tremende punizioni giuste o ingiuste che siano; e che dire di Stella Iasiello: leggendo il suo racconto abbiamo scoperto che ci piace il Latte, soprattutto se Nero a quattro zampe e vendicatore. E quel noce di Benevento …
Binario per binario (non sappiamo se sia stata una sorta di continuità editoriale voluta o un semplice caso, comunque ‘ci piace’) da quello ferroviario ci ritroviamo su quello Morto di Giovanni Vergineo. Fantasmi del passato tornano a tormentare il presente in una doppia vendetta che si consuma tra le spire della Galleria della Riscossa. E’ una meraviglia continua. Giriamo pagina e siamo a Un amore che brucia di Marcello Serino. A dirla tutta a quel punto siamo caduti nell’errore di una romantica metafora, ma conoscendoli avremmo dovuto aspettarcelo: quello che doveva letteralmente andare a fuoco infatti, era proprio l’amore, ossia la fidanzata di Gigio Cerqueti. E questo è un altro diamante nella letteratura losca e osca perché, tornando all’introduzione dell’antologia: un osco losco, come un diamante, è per sempre!!!
Rinfoderata la spada, tiriamo un parziale sospiro di sollievo, basta vendette, ora Denari: valori che si custodiscono in cassaforte. E qui, comunque ci aspettiamo un altro colpo al cuore …
Cambio scenario. Cambio musica. Anche perché, non ce lo scordiamo, ci sono sempre le colonne sonore, ma ormai siamo … in una emotional fusion …
Altro ritorno, Umberto Di Lorenzo. Per chi come noi ha letto anche il primo volume, il ricordo è ancora fresco. E la freschezza di Quello che rimase del cielo ricalca quella di quel giro di do dello scorso anno, in una nuova e toccante maturità letteraria … Federica D’Avanzo e Da consumarsi preferibilmente entro l’attimo appena trascorso ci (ri)porta a quel carpe diem imperativo e inafferrabile, come la magia che si respira con Virginia e la sua stanza di Annamaria Porrino che nel suo racconto fa rivivere Virginia Woolf e l’onirica atmosfera emotiva che accompagna Tracce di impronte granitiche di Paola Corona. Anche qui si va a passo di danza …Chiude la scena, misticamente imbastita da un altro vecchio osco losco, Filippo Ciasullo, con Ma quale falce ma quale martello, paletta e secchiello il simbolo più bello. La villa comunale di Benevento, quell’albero, il papà, l’ingenua impertinenza della bambina e quel mezzo sorriso idiota …
Spostiamo lo sguardo sull’altra pagina: Bastoni: castighi divini per chi non se li cerca.
Da qui è un continuo altalenarsi di stati d’animo.
Circospetti voltiamo pagina: Il circolo delle quinte di Donato Zoppo. Dylan Zarrella ci strappa più di un sorriso e un’amara riflessione tra bastonate musicali e giornalistiche, mentre la valigia di Marco diventa un po’ quella di molti che come il protagonista del Ver sacrum di Giuseppe Di Gioia, presi a bastonate e venuti a patti con la dura realtà non possono fare altro che andarsene …
Altro brusco cambio di rotta, altra bastonata. Visionario e mordace arriva Si è ammazzato uno (racconto suonato sul giradischi del silenzio) di Luigi Furno e alla fine ci chiediamo anche noi come lui: Vivere non è forse molto pericoloso? Altra sterzata repentina e ci ritroviamo con Massimo Varchione. Ci facciamo 2958 KM (Estate 2004) tutti d’un fiato, a bordo di un camion, per nove giorni, in giro tra palco e realtà … poi la bastonata finale: Maggio Fiorentino di Ernesto Razzano. Altro ritorno. Qui, mentre gli occhi scorrono, la mente torna indietro nel tempo, fino a quel maggio del 1993, a Firenze, e le bastonate diventano improvvisamente ancora più reali …
Ebbrezza. Vendetta. Valori. Dolori.
A voi il poker d’assi de GLI OSCHI LOSCHI!!!!
Profilo autori - dalle biografie (l)osche - :
Aurora Lobino: nasce nel 1976 a Benevento, dove attualmente vive e lavora. Socia e fondatrice dello studio Autdesign, insegna grafica e comunicazione visiva. Formatasi come industrial designer presso l’ISIA di Roma, dopo gli studi si trasferisce in Israele, alternando il lavoro di designer alla sperimentazione fotografica e allo studio dei metal detector. In Israele impara e acquisisce i punti nodali lungo i quali si sviluppa la sua intera produzione artistica: la necessità di un’espressività senza mediazioni e la profonda potenza dei segni grafici, ma soprattutto il suo ateismo. Nel 2005 fa ritorno con consapevolezza a Benevento in una dimensione di provincia per lei finalmente fertile e stimolante. Tutto quello che è venuto dopo ve lo racconta a voce.
Flavio Ignelzi: nasce nell’anno del topo sotto il segno del toro. Cresce in un castello normanno del XIII secolo, ma poi emigra nella città delle streghe. Semina racconti e recensioni in lungo e in largo per raccogliere tempesta. Vivaiddio. Qualcuno lo chiama “ingegnere”, ma lui non s’offende. Combatte l’avanzare dell’età leggendo la Vertigo, guardando la HBO e covando il sogno di diventare il batterista dei Duran Duran. Col tempo lo realizzerà.
Emilio Fabozzi: non ve la prendete. È che non gli va di starvi a raccontare cose tipo quello che ha fatto, gli studi, il lavoro e cose così. Mettiamola in questo modo: gli piacciono le serate con gli amici. Per lui, le serate con buon vino e buoni amici sono la prova che, in fondo, l’equilibrio perfetto esiste. Basta incontrare la gente giusta ed essere ubriachi. Adora sua moglie, i suoi figli, il mare e le sere d’estate. Il 5 luglio del 1982 aveva 8 anni. Si giocava Italia-Brasile. Suo padre al pareggio di Falcao spense la televisione. Lui la riaccese. Ecco, lui adora chi ci crede. Anche se manca poco. Adora Bruno Conti che sulla fascia destra era incontenibile. E Paolo Rossi che su cross di Conti quel pomeriggio impattò perfettamente il pallone, facendo il terzo gol al Brasile.
Alessandro Paolo Lombardo: Un bruto, uno che non capisce le leggi. Per Fabozzi, il campione del mondo di nichilismo dada. Uno che ha dato corpo alla sfida di Arthur Rimbaud contro la civiltà. Ma che corpo, signori, che carcassa: 90 chili su un metro e novanta. Tutti di muscoli. Intestati a A.P. Lombardo (detto Lisippo), pronipote di Oscar Wilde, sedicente campione dei pesi massimi delle Surte e guastatore del dadaismo internazionale. S’imbatte spesso nella prosaica arte delle lettere, ma del vate omerico conserva solo la spocchia gibbosa. Ad oggi, veste i panni di una massaia sangiorgese che macella le sue mucche a mani nude, partorisce in piedi mentre falcia la segale, odia lo Stato e non manda i figli a scuola perché la cultura li rende omosessuali.
Isabella Pedicini: è nata a Benevento. Detesta le biografie, figuriamoci la propria.
Daniele Viola: nasce. È il 10 novembre, giorno natale di Martin Lutero. È ancora nella fase dello sviluppo. Dice di sé che se dovesse un giorno imparare a scrivere vorrebbe farlo alla maniera di Joyce, se dovesse imparare a fare film, tenterebbe di farli come Clint Eastwood, e se dovesse fare musica vorrebbe farla come la prima parte del Koln Concert di Keith Jarrett. Non ha mai amato la matematica. Ha studiato. Soltanto storia e filosofia, al liceo classico, ed economia all’università.
Anna Lisa De Mercurio: nel 1975 arriva in clamoroso ritardo all’appuntamento con l’ostetrica, pur avendo promesso già allora “Fra dieci minuti scendo”. A 4 anni impara a leggere e scrivere; poi, per compensare tanto zelo, appalta le altre competenze al restante genere umano. Attualmente, fra la stesura di un articolo e la correzione di una bozza, coltiva dubbi, ma sta valutando il passaggio alle petunie. Guardando al futuro del mondo, si sente serena e fiduciosa. Mmm … no, il mondo era quello in basso a destra.
Maria Elena Napodano: se di giorno lavora nel marketing, di notte continua a coltivare la passione per la scrittura, o meglio, è la passione che coltiva lei. Durante il sonno, infatti, il subconscio produce la maggior parte dei suoi racconti. Ha 38 anni ma non li dimostra, ha un trascorso da giornalista televisiva ed è laureata in Economia e Commercio, ma non dimostra neanche quello. È la quinta opera che rilascia per la pubblicazione in raccolta, ma almeno, in questo caso, l’editore è lei.
Stella Iasiello: nasce ai piedi dell’Etna nel 1979, ma si trasferisce nei pressi del Vesuvio nel 1983, più precisamente in una terra di mezzo tra l’Irpinia e il Sannio. Ha pubblicato il suo primo e ultimo libro dal titolo Ho smesso di scrivere poesie (Il Foglio, 2004) con grande favore di critica e pubblico, che hanno così commentato: “Meno male!”; da allora ha cominciato a scrivere prosa e a distruggere carriere altrui. Possiede un gatto nero di nome Latte attaccato ai maroni.
Giovanni Vergineo: è nato a Benevento nel 1984 e, nonostante sia laureato in Archeologia, non scrive di piramidi Maya, extraterrestri e arche perdute. Ha partecipato due volte al premio “Città di Montesarchio”, classificandosi secondo nel 2006 con il racconto Sabba e primo nel 2007 con L’ultima Ianuaria. Ha vinto il premio “Città di Melegnano” con il racconto 539, Parco Millennio (nel 2007) e il premio speciale della giuria per lo stesso (nel 2008). Nel 2009 è arrivato in finale al premio Italo Calvino con la raccolta Pippe (oh my god). Ah già, suona il basso elettrico, ma al momento è senza band.
Marcello Serino: è nato a Benevento. Dopo aver provato innumerevoli lavori umilianti decide che è meglio scrivere racconti per circuiti familiari. Adesso vive felice e sereno in compagnia di nonna Càrina.
Umberto Di Lorenzo: nasce nel bel mezzo degli anni ottanta da genitori amorevoli e con una sorella di due anni che subito prova a farlo fuori con pane e mozzarella (di cui si innamorerà). A dieci anni di distanza si ritrova una seconda sorella e ciò non fa che esasperare il suo rapporto conflittuale con le donne. Juventino perché lo era Gramsci, gioca a calcio alla Davids ma con i piedi di Mirkovic e il fiuto del gol di Pacione. Della sua scrittura hanno detto: “sembra opera di una persona asessuata” (Melania Petriello).
Federica D’Avanzo: nata nel vicino 1982, non ha mai avuto le idee molto chiare riguardo ciò che fossero le sue aspirazioni. Sognatrice insonne, progettista in erba, è incatenata alla realtà ma innamorata della fantasia. Disegna per gioco e scrive per caso, ma lo fa con spietata freddezza. Ama il disordine che si può sistemare, il colore viola che non indossa quasi mai, le unghie lunghe quando non le divora. Odia scrivere biografie.
Annamaria Porrino: voleva fare il medico ma l’hanno dirottata a dirigere un ente. Sognava di disegnare abiti e invece s’è divertita a vestire sua figlia. Voleva tornare ai suoi 25 anni per recuperare qualcosa che le spettava di diritto, ma è rimasta incollata alla poltrona dove si era seduta per scrivere un racconto noir. Non ha smesso più. La sua prima creatura (Il mio sogno toscano) l’ha battezzata Ugo Mursia e da allora un cumulo di recensioni letterarie, prefazioni e sillogi, due gialli e un memoir che le è costato cinque anni di vita.
Paola Corona: da diciotto anni i suoi polmoni respirano l’aria di questo cielo che non si stancherà di esplorare. La terra natìa l’ha designata osca, ma la dea bendata l’ha ribattezzata osca losca. Disoccupata e al verde, si consola improvvisando fantomatici passi di danza. La sua penna di liceale è al primo appuntamento con questo racconto e spera che la relazione sia lunga. Chissà, forse è già amore. Di lei si dice che ha “mani fredde, ma cuore caldo”.
Filippo Ciasullo: individuo senza mezze misure. Oscilla tra il diavolo e l’acqua santa e ancora non ha capito da che parte stare. Ama circondarsi di maestri ma, nella migliore delle ipotesi, becca solo maestre. Molto probabilmente il più losco di tutti. L’illustrazione della “migliore opera pubblica di Benevento” è di Roberta De Santis, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
Donato Zoppo: quando gli AC/DC esplosero nelle tenere orecchie di un bimbo già grafomane, i risultati furono devastanti. Con il destino segnato dalla penna e dal rock ‘n’ roll, Donato Zoppo (Salerno, 1975) non ha saputo fare altro che scrivere di musica. Lo fa per le riviste Jam, Totemblueart e L’Idea, per il blog Chi va con lo Zoppo … ascolta buona musica, per i siti MovimentiProg e BattistiNews. Di sera chiacchiera in radio con Rock City Nights e quando gli gira pubblica libri, raccontando storie a 33 giri.
Giuseppe Di Gioia: è nato a Benevento il 27 novembre 72, data palindroma ma soprattutto di paga (a quei tempi). Divide il suo tempo a disposizione nell’arco della giornata tra le esigenze esterne di ordine e quelle interne e personali di disordine: dipendesse da lui trascorrerebbe il tempo ascoltando musica e leggendo libri mentre gran parte delle ore diurne deve spenderle adoperandosi in tecniche di project management. Adora la musica dei Floyd e quella sinfonica. È al suo primo racconto.
Luigi Furno: questa è l’autobiografia di Luigi Furno scritta dal campione di pesi massimi della Surte. Si prevedono critiche. I più diranno che l’autobiografia non la può scrivere un altro, perché è auto. E come la mettiamo con l’autopsia? La salma di Furno, al secolo Filtro, al millennio Bertozzi, si presenta come una nuova ed inquietante forma di non vita basata sul silicio, eterotrofa. Si nutre prevalentemente di taleggio e cavoletti di Bruxelles, si lava le ascelle col Negroni. Lo stato della fisiognomica indica che il soggetto è in decomposizione da circa trent’anni.
Massimo Varchione: è nato in Svizzera nel 1979, è diplomando in Composizione presso il Conservatorio Nicola Sala di Benevento. Ha scritto musiche per il teatro, per installazioni e per ensemble strumentali. Partecipa a diversi festival ed eventi musicali in tutt’Italia tra cui: Contemporanea 08 (Udine), Traiettorie (Parma), Dissonanzen (Napoli). Nel mese di febbraio 2011 l’installazione B2: A sound walk for two city è stata ospitata dalla galleria Cell63 di Berlino.
Ernesto Razzano: ha vissuto per molti anni a Firenze, dove si è laureato in Scienze Politiche/Storia, e per qualche anno a Bologna. Giornalista pubblicista scrive di musica, cinema e libri per le pagine culturali di alcuni periodici. È ideatore e curatore di programmi radio. Si occupa della rassegna musicale del Morgana Music Club e collabora con alcune etichette discografiche. Ha pubblicato qualche racconto scoprendo di essere osco e di diventare sempre più losco. Vive nel dubbio che il tempo dedicato allo scrivere sia tempo sottratto al leggere. Ci tiene a ringraziare Troisi, i Beatles, Emìle Zola e Maradona in particolare.
Stralcio del libro:
“Non sono insopportabili le introduzioni?
A forza che ti devono spiegare le cose come stanno, i perché e i percome sono nate certe idee e maturate determinate scelte, i quando e i dove sono state apportate le svolte decisive al progetto e cose così. […]. Ecco perché sarò telegrafico. Anzi sarò telegrafico soprattutto perché le cose voglio farvele dire direttamente dagli autori e dai loro personaggi. Sarebbe da ipocriti non considerare il primo volume di Oschi Loschi, la (per carità, relativa) visibilità di cui ha goduto e che ha in una qualche misura tramandato pure a questo secondo volume. Molte sono le cose lasciate in eredità: l’umile curatore, innanzitutto, per quel che conta; poi cinque autori cinque; infine e più di ogni altra cosa lo spirito punk del DIY, Do It Yourself, facciamo da noi […]”.
MariaGrazia