La luna e i falò di Cesare Pavese
La luna e i falò è il mio primo approccio a Pavese, autore italiano che ho approfondito durante gli anni scolastici ma di cui non avevo mai letto nulla. Ho iniziato con il suo ultimo romanzo, quello che concluse la sua carriera di narratore. Non so bene il motivo di questa scelta, credo che semplicemente, tra i tanti suoi libri, questo era quello che più mi attirava e così l'ho acquistato d'istinto senza pensarci troppo.
La storia è ambientata in un paesino della Valle del Belbo, in Piemonte; dopo anni di lontananza Anguilla, protagonista del racconto di cui non conosceremo mai il vero nome, torna nel paesino dove è cresciuto e riscopre quelle che da sempre ha considerato le sue radici. Il paese, le strade, i campi, gli alberi stessi, le persone che rincontra, tutto gli sembra uguale, esattamente lo stesso di quando ragazzo era partito per far fortuna. Dopo anni in America in cui si è costruito una carriera e un nome, Anguilla decide però di tornare. Non sa neanche bene perchè, sa solo che quel luogo lo chiama e che in nessun posto visitato ha trovato quello che aveva lì.
La luna e i falò è un racconto che alterna passato e presente e che li mescola e rimescola fino a creare un intero affresco che ci fa conoscere il protagonista ma sopratutto il posto da cui proviene. Il titolo riprende alcuni dei temi del racconto stesso; sta a rappresentare il ciclo delle stagioni, ma in questo caso rappresenta anche le stagioni della vita dell'uomo che in questo romanzo vengono esplorate un po' tutte. Infatti, attraverso i racconti di Anguilla e le sue conversazioni con l'amico Nuto, ci vengono narrati episodi dell'infanzia, dell'adolescenza e della vita adulta del protagonista.
Ho trovato lo stile di Pavese davvero eccezionale; l'ho trovato lineare, mai eccessivo ma sopratutto molto evocativo. Con poche parole infatti riesce a dipingere dei veri e propri quadri di grande bellezza. La narrazione ha un bel ritmo e alterna momenti del presente a storie ed episodi del passato. Questa scelta contribuisce a rendere il romanzo particolarmente affascinante.
Quello che però ho apprezzato ancor di più dello stile sono i temi centrali del racconto. Il tema delle radici, di quello che ci lega al posto in cui cresciamo, di quanto pur allontanandoci restiamo sempre ancorati al ricordo dei luoghi che ci sono più cari. Il racconto è ambientato subito dopo la Liberazione, si parla anche del movimento di resistenza, dei partigiani. Ma tema ancor più centrale è forse quello della memoria; la memoria riveste un ruolo particolare in questo romanzo che in effetti non è altro che un lungo ricordo del protagonista. Ho notato che molti dei libri letti in questi ultimi mesi hanno in comune questo tema , non so se si tratti di una scelta consapevole o no, ma è sicuramente qualcosa che mi tocca da vicino.
Questo romanzo ha qualcosa di magico, anche se in realtà la storia è semplice e i personaggi anche sono persone semplicissime. Forse la magia sta in questa atmosfera così nostalgica che pervade tutta la storia, o forse nel modo in cui Anguilla riscopre quello che aveva dato per scontato, un paese a cui poter tornare, delle radici da cui partire, qualcosa che sappiamo ci sarà sempre, anche se ci allontaniamo. Buona lettura!
La storia è ambientata in un paesino della Valle del Belbo, in Piemonte; dopo anni di lontananza Anguilla, protagonista del racconto di cui non conosceremo mai il vero nome, torna nel paesino dove è cresciuto e riscopre quelle che da sempre ha considerato le sue radici. Il paese, le strade, i campi, gli alberi stessi, le persone che rincontra, tutto gli sembra uguale, esattamente lo stesso di quando ragazzo era partito per far fortuna. Dopo anni in America in cui si è costruito una carriera e un nome, Anguilla decide però di tornare. Non sa neanche bene perchè, sa solo che quel luogo lo chiama e che in nessun posto visitato ha trovato quello che aveva lì.
La luna e i falò è un racconto che alterna passato e presente e che li mescola e rimescola fino a creare un intero affresco che ci fa conoscere il protagonista ma sopratutto il posto da cui proviene. Il titolo riprende alcuni dei temi del racconto stesso; sta a rappresentare il ciclo delle stagioni, ma in questo caso rappresenta anche le stagioni della vita dell'uomo che in questo romanzo vengono esplorate un po' tutte. Infatti, attraverso i racconti di Anguilla e le sue conversazioni con l'amico Nuto, ci vengono narrati episodi dell'infanzia, dell'adolescenza e della vita adulta del protagonista.
Ho trovato lo stile di Pavese davvero eccezionale; l'ho trovato lineare, mai eccessivo ma sopratutto molto evocativo. Con poche parole infatti riesce a dipingere dei veri e propri quadri di grande bellezza. La narrazione ha un bel ritmo e alterna momenti del presente a storie ed episodi del passato. Questa scelta contribuisce a rendere il romanzo particolarmente affascinante.
Quello che però ho apprezzato ancor di più dello stile sono i temi centrali del racconto. Il tema delle radici, di quello che ci lega al posto in cui cresciamo, di quanto pur allontanandoci restiamo sempre ancorati al ricordo dei luoghi che ci sono più cari. Il racconto è ambientato subito dopo la Liberazione, si parla anche del movimento di resistenza, dei partigiani. Ma tema ancor più centrale è forse quello della memoria; la memoria riveste un ruolo particolare in questo romanzo che in effetti non è altro che un lungo ricordo del protagonista. Ho notato che molti dei libri letti in questi ultimi mesi hanno in comune questo tema , non so se si tratti di una scelta consapevole o no, ma è sicuramente qualcosa che mi tocca da vicino.
Questo romanzo ha qualcosa di magico, anche se in realtà la storia è semplice e i personaggi anche sono persone semplicissime. Forse la magia sta in questa atmosfera così nostalgica che pervade tutta la storia, o forse nel modo in cui Anguilla riscopre quello che aveva dato per scontato, un paese a cui poter tornare, delle radici da cui partire, qualcosa che sappiamo ci sarà sempre, anche se ci allontaniamo. Buona lettura!
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti."