La perfetta imperfezione dei nostri corpi.

Rimangono nella mia testa impresse le immagini di ragazze eteree che sfilano sulle passerelle della trascorsa Fashion Week. Eteree nel loro camminare, ma così dense di vissuti.

Non voglio scrivere parole deluse, arrabbiate; vorrei scrivere parole che possano lenire in qualche modo quel dolore immenso che portano nei loro corpi così piccoli. Ma sarebbe una pretesa impossibile…

Allora vorrei scrivere un’ode alla perfetta imperfezione dei nostri corpi, perché il mondo si cambia un passo per volta, a partire dalla nostra vita. Pirandello ne “Il fu Mattia Pascal” racconta come il suo corpo sia cambiato durante l’adolescenza e ci fa ragionare sui nostri limiti corporei: “A diciott’anni m’invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso, piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave. Forse, se fosse in facoltà dell’uomo la scelta d’un naso adatto alla propria faccia, o se noi, vedendo un pover’uomo oppresso da un naso troppo grosso per il suo viso smunto, potessimo dirgli – Questo naso sta bene a me e me lo piglio; - forse dico, io avrei cambiato il mio volentieri, e così anche gli occhi e tante altre parti della mia persona. Ma sapendo bene che non si può, rassegnato dalle mie fattezze, non me ne curavo più che tanto.”

Per alcune persone è facile far pace con le proprie imperfezioni, per altre accadono situazioni che le portano a mostrare il loro dolore impresso sull’immagine corporea come nei casi dei disturbi alimentari. Non voglio scrivere in questa occasione del complesso mondo dei disturbi alimentari, ma, piuttosto, parlare di accettazione del corpo.

Viviamo in una società in cui non è semplice chiamare “perfette” le nostre imperfezioni. Pensiamo al corpo femminile: nella nostra contemporaneità vige il modello di donna indipendente e ciò ha un importante risvolto anche a livello corporeo: ci riferiamo a valori di efficienza, di produttività, piuttosto che di riproduttività. Il corpo contemporaneo rispecchia la nostra società, deve produrre, spesso a scapito della sua natura. Penso che, invece, il corpo non debba essere vissuto come un mezzo per apparire, ma come un veicolo per muoverci nella strada della vita. Dobbiamo imparare ad amare ogni nostro piccolo dettaglio, migliorare in modo sano ciò che non ci piace, ma amare questo meraviglioso involucro. Durante le nostre giornate fermiamoci un momento e facciamo un semplice esercizio: chiudiamo gli occhi e ascoltiamo il nostro respiro e il nostro corpo.

Concentriamoci su come esso si appoggi alla sedia, ascoltiamolo, se sentiamo delle contratture, con l’aiuto del respiro proviamo a rilassarle. Ci presentiamo al mondo con il corpo, ma quanto è bello presentare la nostra unicità, fatta di tante piccole sfaccettature, piuttosto che presentare l’anonimità? Dobbiamo anche imparare a guardare senza giudizio i corpi altrui, perché costruiamo buona parte della nostra identità a partire dallo sguardo che riceviamo.

Fabiola De Clercq (scrittrice belga che ha sofferto di anoressia e bulimia) mi ha insegnato una grande verità: “E’ attraverso lo sguardo dell’altro che ognuno si costruisce. Intendo non quello che si pensa giudichi, ma quello che abbraccia con gli occhi e il cuore”.  


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