La leggenda dell'evirazione di Rasputin

Potenza. Dissolutezza. Lussuria. 
Sono i termini più ricorrenti quando si parla della vita del monaco russo Grigorij Efimovič Rasputin.
Il mistico russo, consigliere privato dei Romanov, eminenza grigia dello zar Nicola II, fu assassinato a San Pietroburgo nel dicembre 1916 in una congiura di nobili. Non sono mai stati chiariti moventi, mandanti e circostanze dell'omicidio.
ll "contadino" - come veniva anche chiamato in riferimento alle sue origini - che influenzò gli ultimi anni dello zarismo, ebbe una vita sulla cui ricostruzione pendono diverse incertezze e una morte divenuta leggenda.

Il suo cadavere è oggi perduto e con lui le prove. 

Rasputin fu vittima di una congiura. Probabilmente venne avvelenato durante una cena. A un certo punto la sua posizione si era fatta molto delicata. All'avversione si erano aggiunte le leggende che circolavano su di lui e che indebolivano il prestigio della casa reale agli occhi del popolo.
L'assassinio avvenne nella notte tra venerdì 16 e sabato 17 dicembre 1916 (29 - 30 dicembre per il calendario gregoriano) a San Pietroburgo, nel palazzo sulla Mojka, appartenente agli Jusupov. Gli aristocratici congiurati avvelenarono i dolci e il Madera, il suo vino preferito. Sopravvisse al veleno, quindi gli spararono al petto e alla schiena e lo gettarono nella Mojka, uno dei canali della capitale. Il cadavere riemerse tre giorni dopo. Dall'autopsia risultò che era stato gettato in acqua ancora vivo.

L'evirazione è stata attribuita di volta in volta agli assassini o a chi partecipò all'autopsia. Le leggende sulla prestanza di Rasputin circolavano anche prima della sua morte, una diffusa fama di lussuria che lo circondava e si contrapponeva alla sua immagine di uomo devoto e in contatto con Dio. La sua tempra eccezionale, la statura e la fama di donnaiolo furono quindi la causa del fiorire di dicerie sulla sua prestanza sessuale. E da qui nacque la leggenda dell’evirazione, uno sfregio simbolico al monaco superdotato. Dopo la sua morte cominciò a diffondersi la storia che una cameriera avesse ritrovato il pene di Rasputin, già staccato, lì dove era avvenuto l'omicidio e lo avrebbe preso per poi rivenderlo come macabra reliquia. Negli anni '20 sarebbe poi ricomparso in Francia, dove fu acquistato da un gruppo di donne russe emigrate dopo la rivoluzione. Maria, una delle figlie di Rasputin, venuta a conoscenza della cosa, riuscì a farsi restituire l'oggetto e a portarlo negli Stati Uniti. Qui morì nel 1977. Dopo qualche passaggio di mano la reliquia insieme a un manoscritto di Maria finì a un certo Michael Augustine che vendette tutto alla casa d'aste Bonhams. Quest'ultima fece dei test e affermò che non si trattava di un pene umano ma di un cetriolo di mare.
Nel 2004, il museo dell'erotismo di San Pietroburgo espose un contenitore con dentro un pene umano, attribuito proprio a Rasputin!
Un mistero destinato a restare tale, data l'impossibilità di tentare riscontri autoptici o test del Dna visto che il cadavere di Rasputin fu dissepolto e bruciato durante la Rivoluzione russa del 1917 e la documentazione dell’autopsia scomparve.
Come dicevamo in apertura, molte sono le incertezze.
Lo stesso rapporto ufficiale della polizia non viene considerato soddisfacente. A ciò si aggiunge la discordanza nei racconti degli stessi protagonisti dell'omicidio, in particolare di Feliks Jusupov e Vladimir Puriškevič. Incerto anche il movente dell'assassinio. Kusupov, nel 1917, aveva dichiarato che l'omicidio di Rasputin era legato al movente del patriottismo, ma in seguito, nel 1965, affermò di aver agito poiché spinto dall'avversione per le dissolutezze di Rasputin.

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