[Recensione] Il ritorno di Dante di Carmelo Bonifacio Malandrino



Questo poemetto fu scritto nel 1980 e mandato a pochi amici ciclostilato sotto forma, come usavo allora, di “bancarella” (la n°6). Devo dire che per certi riferimenti (e chi mi leggerà vedrà) sono stato facile profeta, pur vivendo nella tranquilla periferia. Nessuno notò nulla, né ebbi particolari apprezzamenti.
Solo Franco Di Bella, allora direttore del Corriere della Sera, mi mandò una lettera in cui mi diceva che aveva incaricato Giulio Nascimbeni, perché si facesse una nota sul suo giornale. Interpellato per lettera, visto che non appariva, Nascimbeni mi scrisse che non se ne faceva nulla perché un suo consulente non era d’accordo. Dopo mi sono reso conto perché.
Ora ho voluto pubblicarlo perché mi pare abbia dimostrato ai miei gusti una certa resistenza di durata. Perché “Il ritorno di Dante?” Perché fu un’idea che mi venne e non riuscii a scansarla.
Ma si dice: Scherza coi fanti e lascia stare i santi.
Ma Dante santo non era semmai buon cristiano, e io non ho voluto prenderlo sottogamba, io? Una strapazzata da lui, anche se di notte, nessuno me la toglieva. Dante non è il tipo con cui si scherza e io non ho voluto che scherzasse. Anzi gli ho fatto dire cose che, se fosse veramente venuto, avrebbe detto senza bisogno di essere pregato.
Chi altro potrebbe dirle con uguale autorità? Ho usato la quartina con molto libertà, non ho voluto scimmiottare le sue tremende terzine. E poi ho voluto ricordare a tanti che scrivono in versi e in prosa che una volta si usava la rima per ammaestrare il popolo, rischiando di persona quando si diceva la verità. E molti poeti, anche più vicini a noi, sono morti in esilio o ammazzati, e per lo più senza Nobel e poveri.

Carmelo Bonifacio Malandrino, in arte Marlon Dani, nato a Vatolla di Pedifumo (Sa) il 1929 ha operato in penisola Sorrentina negli anni 1967-1977 allestendo mostre d'arte, pubblicando testi di poesia di diversi autori.
A Benevento dal 1977 affigge sul muro della strada di via Annunziata, dove ha sede il "Centro informazioni arte e poesia Marlon Dani" un sonetto ogni settimana. Si tratta di testi... che intervengono sui fatti del giorno e sulla comune condizione umana nel tempo. Ora in pensione, non ha smesso di coltivare la sua più grande passione, la poesia.
Segnalato da Luigi Cancrini sull'Unità, da Maria Elena Napodano su Tempi Nuovi e prima ancora da Renato Ribaud su Il Mattino, come operatore culturale.
Ha pubblicato una ventina di volumetti di poesia. Gli ultimi sono: Il ritorno di Dante, E' una fortuna vivere, Stella del meriggio, Donna di fiori. Scrive da quasi mezzo secolo. E' stato notato da: Enrico Falqui, Piero Bargellini, Carlo Laurenzi, Giuseppe Prezzolini, Pietro Cimatti, Carlo Bo, Pietro Citati, Giuseppe Pontiggia, Luigi Compagnone, Claudio Magris, Umberto Eco, Giorgio Barberi Squarotti, Luciano Luisi, Gina Lagorio, Luigi Baldacci, Eugenio Evtusenko, Lawrence Ferlinghetti, Bonaventura Tecchi, Giuseppe Longo, Alberto Viviani, Paolo Perrone, Noberto Bobbio, Gesualdo Bufalino, Michele Prisco.

Il ritorno di Dante è un poemetto in rima di Carmelo Bonifacio Malandrino.
C’è da dire che l’idea dell’autore, di scomodare addirittura il Sommo poeta per dare una strigliata a poeti e affini, è quanto mai azzeccata. Si tratta di un richiamo, in rima, senza ricorrere alle “sue tremende terzine”, al valore e al senso puro del versificare, in un mondo frastornato e dimentico dell’alto valore della poesia.
Chi infatti, più del padre della lingua italiana, potrebbe redarguire, come fa in questi versi “quelli che dovrebbero gridare con la sferza delle parole sulle piazze e illuminare anche e più quando non si vuole i pelandroni distratti che se ne stanno asserragliati nelle metropoli dei misfatti con tutti e due occhi bendati?”
E così, Dante ridiscende sulla terra, nonostante venga trattenuto da Omero, Virgilio e Lucrezio e si ritrova in piazza Duomo, a Milano.
Arringando i curiosi, che si radunano subito tutt’intorno, chiede loro cosa abbiano fatto per tenere alto il prestigio della poesia. Ma il mondo è sordo, alla vera poesia, eppure i poeti esistono ancora. Da lì, Dante si muove per la città, tra lo stupore generale di chi non sa chi egli sia e di chi invece lo classifica semplicemente “per il suo accento meridionale”,  ritrovandosi di volta in volta, in una campagna, dove un contadino lo riconosce subitamente: “Quale evento ti mena, generale delle lettere nostre?”; a Cinecittà e poi nella sua Firenze. Qui una lacrima scende a solcarne il viso, alla vista della sua città e dei ricordi ad essa legati.
Il linguaggio è sferzante, i toni del poeta di aspro rimprovero, le immagini ‘disegnate’ dalle parole efficaci e degne nella sua furia per la “corruzione” e contaminazione dell’arte poetica e del vivere. 
 Cinque cuori per il valore e il senso profondo di questo poemetto. 

Votazione:
Cinque Cuori
Un assaggio per i nostri lettori

“Scusatemi, ma io devo ridiscendere
sulla faccia della terra;
ma capite che mi rovinano
in un fastidioso serra serra
quelli che dovrebbero gridare
con la sferza delle parole
sulle piazze e illuminare
anche e più quando non si vuole
i pelandroni distratti
che se ne stanno asserragliati
nelle metropoli dei misfatti
con tutti e due occhi bendati?
Io devo ridiscendere”, diceva
stravolto nello sguardo beato
messer Dante e già muoveva
le sue ali invisibili sul lato.
Lo vollero trattenere con le buone
una cerchia di poeti tra cui
Omero e Virgilio Marone
e perfino Lucrezio, anche lui,
che aveva parlato della natura.
Corse Neruda e Marziale
Pindaro che si godeva la struttura
delle più alte sfere dell’ideale.
Ma il Fiorentino in un baleno
staccò tutti e in una sorta
di volo a perdifiato, senza meno
venne giù senza chiudere la porta”.  

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