[Recensione] L'ambasciatore di Marte alla corte della Regina Vittoria di Alan K. Baker
Sono ormai passati sei anni dalla scoperta di vita
intelligente su Marte e le relazioni tra i due mondi si stanno sviluppando
rapidamente. Ma i rapporti amichevoli e pacifici tra l’Impero Britannico e il
Pianeta Rosso rischiano di essere gravemente compromessi quando Lunan R’ondd,
ambasciatore marziano presso la corte di San Giacomo, muore improvvisamente
durante un banchetto ufficiale. La scoperta di una strana, microscopica larva
nel suo apparato respiratorio induce la Regina Vittoria a sospettare che sia
stato vittima di un bizzarro delitto.
Il Parlamento di Marte non è affatto contento: è la
prima volta che un marziano viene ucciso sulla Terra, per di più in circostanze
così sospette. È il momento di far entrare in azione Thomas Blackwood,
investigatore speciale per l’Ufficio Affari Clandestini di Sua Maestà. Insieme
a Lady Sophia Harrington, Blackwood viene incaricato di risolvere il mistero
della morte dell’Ambasciatore R’ondd prima che i marziani decidano di prendere
in mano la situazione, col rischio di causare una guerra interplanetaria.
Alan K. Baker è nato a Birmingham, Inghilterra, nel
1964. Dopo aver lasciato l’università nel 1991 ha svolto una serie di lavori
non proprio piacevoli, culminati con sei mesi come addetto al confezionamento
in una fabbrica di insaccati a Sheffield. Lavori rivelatisi utili, comunque, a
far crescere in lui il fascino per il macabro e l’esotico. Dal 1997 ha
pubblicato diversi saggi sul paranormale e il folklore, tradotti in varie
lingue. L’Ambasciatore di Marte alla
corte della Regina Vittoria è il primo romanzo nel ciclo mistery steampunk che vede protagonisti Blackwood e Harrington. Attualmente
vive a New Port Richey, in Florida.
Cinque cuori per questo romanzo del ciclo mistery
steampunk della Odissea DelosBooks. Un bel racconto ambientato in una
futuristica Inghilterra vittoriana, dove accanto alle carrozze viaggiano
omnibus e mezzi di trasporto marziani.
È il 1899, la Terra e Marte coltivano un’amicizia
basata su rapporti pacifici, pericolosamente minacciati dalla morte
dell’Ambasciatore R’ondd, che muore in circostanze misteriose. La Regina
Vittoria chiama a indagare il migliore dei suoi uomini, Blackwood, che
affiancato da lady Harrington, cerca di districare la complicata matassa, lungo
la quale si dipana un terribile complotto.
Il racconto procede fluido e leggero, con una
piacevolezza accentuata dai personaggi accattivanti che accompagnano la
vicenda. Bella la copertina e anche la cura nell’impaginazione. Non mancano
creature spaventose, come il terribile e sanguinario Indrid Cold (Jack il
Saltatore), impavidi ispettori, creature fatate e momenti di autentico panico,
in cui la Terra e Marte rischieranno la completa devastazione o lo scontro in
una guerra interplanetaria. La paura del ‘diverso’, qui viene a tratti
superata, mentre riappare e si impone prepotentemente quando subentra il dubbio
… e proprio sul dubbio fa leva il terribile piano distruttivo di un potente
insospettabile.
Il racconto si apre con la notizia della morte
dell’Ambasciatore marziana, riportata, naturalmente … dal Times!
Abbiamo pensato a Mars Attacks, lo spettacolare film
di Tim Burton del 1996. Con la sola differenza, che nel film, i
marziani sono tutt’altro che pacifici…
VOTAZIONE:
Un assaggio per i
nostri lettori
“Stranamente, in mezzo a tutta quella morte, nel primigenio
orrore della riduzione di un essere vivente e intelligente allo stato di
carogna, la cosa che Blackwood trovava più disturbante erano gli occhi. Anche
da vivi, gli occhi di un marziano erano inquietanti da osservare. Dato che
Marte era molto più lontano dal Sole rispetto alla Terra e pertanto la luce del
giorno assai più fioca, la risposta logica delle forze dell’evoluzione era
stata quella di massimizzare la quantità di luce che colpiva la retina dei
marziani. Gli occhi di un abitante di Marte erano pertanto grandi, normalmente
del diametro di tre pollici e dalle enormi pupille nere. Guardare in quegli
occhi era come scrutare negli abissi dello spazio stesso ed era una sensazione
che molti esseri umani, Blackwood incluso, trovavano spiacevole. Era ironico,
rifletté, che si potesse leggere così tanto negli occhi di un umano, ma così
poco in quelli di un marziano …”