[Recensione] L'ambasciatore di Marte alla corte della Regina Vittoria di Alan K. Baker



Londra, 1899.
Sono ormai passati sei anni dalla scoperta di vita intelligente su Marte e le relazioni tra i due mondi si stanno sviluppando rapidamente. Ma i rapporti amichevoli e pacifici tra l’Impero Britannico e il Pianeta Rosso rischiano di essere gravemente compromessi quando Lunan R’ondd, ambasciatore marziano presso la corte di San Giacomo, muore improvvisamente durante un banchetto ufficiale. La scoperta di una strana, microscopica larva nel suo apparato respiratorio induce la Regina Vittoria a sospettare che sia stato vittima di un bizzarro delitto.
Il Parlamento di Marte non è affatto contento: è la prima volta che un marziano viene ucciso sulla Terra, per di più in circostanze così sospette. È il momento di far entrare in azione Thomas Blackwood, investigatore speciale per l’Ufficio Affari Clandestini di Sua Maestà. Insieme a Lady Sophia Harrington, Blackwood viene incaricato di risolvere il mistero della morte dell’Ambasciatore R’ondd prima che i marziani decidano di prendere in mano la situazione, col rischio di causare una guerra interplanetaria.

Alan K. Baker è nato a Birmingham, Inghilterra, nel 1964. Dopo aver lasciato l’università nel 1991 ha svolto una serie di lavori non proprio piacevoli, culminati con sei mesi come addetto al confezionamento in una fabbrica di insaccati a Sheffield. Lavori rivelatisi utili, comunque, a far crescere in lui il fascino per il macabro e l’esotico. Dal 1997 ha pubblicato diversi saggi sul paranormale e il folklore, tradotti in varie lingue. L’Ambasciatore di Marte alla corte della Regina Vittoria è il primo romanzo nel ciclo mistery steampunk che vede protagonisti Blackwood e Harrington. Attualmente vive a New Port Richey, in Florida.
Cinque cuori per questo romanzo del ciclo mistery steampunk della Odissea DelosBooks. Un bel racconto ambientato in una futuristica Inghilterra vittoriana, dove accanto alle carrozze viaggiano omnibus e mezzi di trasporto marziani.
È il 1899, la Terra e Marte coltivano un’amicizia basata su rapporti pacifici, pericolosamente minacciati dalla morte dell’Ambasciatore R’ondd, che muore in circostanze misteriose. La Regina Vittoria chiama a indagare il migliore dei suoi uomini, Blackwood, che affiancato da lady Harrington, cerca di districare la complicata matassa, lungo la quale si dipana un terribile complotto.
Il racconto procede fluido e leggero, con una piacevolezza accentuata dai personaggi accattivanti che accompagnano la vicenda. Bella la copertina e anche la cura nell’impaginazione. Non mancano creature spaventose, come il terribile e sanguinario Indrid Cold (Jack il Saltatore), impavidi ispettori, creature fatate e momenti di autentico panico, in cui la Terra e Marte rischieranno la completa devastazione o lo scontro in una guerra interplanetaria. La paura del ‘diverso’, qui viene a tratti superata, mentre riappare e si impone prepotentemente quando subentra il dubbio … e proprio sul dubbio fa leva il terribile piano distruttivo di un potente insospettabile.   
Il racconto si apre con la notizia della morte dell’Ambasciatore marziana, riportata, naturalmente … dal Times!
Abbiamo pensato a Mars Attacks, lo spettacolare film di Tim Burton del 1996. Con la sola differenza, che nel film, i marziani sono tutt’altro che pacifici…

VOTAZIONE:
Cinque Cuori

Un assaggio per i nostri lettori
“Stranamente, in mezzo a tutta quella morte, nel primigenio orrore della riduzione di un essere vivente e intelligente allo stato di carogna, la cosa che Blackwood trovava più disturbante erano gli occhi. Anche da vivi, gli occhi di un marziano erano inquietanti da osservare. Dato che Marte era molto più lontano dal Sole rispetto alla Terra e pertanto la luce del giorno assai più fioca, la risposta logica delle forze dell’evoluzione era stata quella di massimizzare la quantità di luce che colpiva la retina dei marziani. Gli occhi di un abitante di Marte erano pertanto grandi, normalmente del diametro di tre pollici e dalle enormi pupille nere. Guardare in quegli occhi era come scrutare negli abissi dello spazio stesso ed era una sensazione che molti esseri umani, Blackwood incluso, trovavano spiacevole. Era ironico, rifletté, che si potesse leggere così tanto negli occhi di un umano, ma così poco in quelli di un marziano …”      

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