Letture dal Passato: Intervista a Don Rodrigo
Anche questa settimana per le nostre Letture dal Passato,una nuova intervista della nostra Maria Grazia...
Eccolo, “isolato, a somiglianza di una bicocca, sulla
cima d’uno de’poggi”(nota1), situato
poco più in alto rispetto al paese, stava la “piccola capitale del suo piccol
regno”. (nota 1)
Il palazzotto s’ergeva potente, circondato da nubi
che parevano stringerlo in una terribile morsa, come quella dell’apprensione che
teneva il cuore di Don Abbondio mentre saliva verso la sua meta. I suoi occhi
caddero sulla schiena dei brutti ceffi che gli facevan da scorta in quel
Calvario …
Don Rodrigo avea pensato bene di aggiungere un
incentivo al suo invito. Per questo aveva inviato due dei suoi sgherri, uno dei
quali era niente meno che Il Griso, il capo dei bravi, quello a cui venivano
affidate imprese rischiose e inique, per conto del suo padrone.
La salita finì e si ritrovarono in una “piccola spianata
davanti al palazzotto” (nota1) su
cui spiccavano “piccole finestre […] difese da grosse inferiate”. (nota 1).
Tutt’intorno regnava un “gran silenzio”. (nota 1)
Don Abbondio strinse tra le mani il breviario
insieme al rosario che gli aveva dato la Perpetua. Il Signore doveva aiutarlo.
Cosa aveva mai fatto di male lui, un piccolo curato di paese?
Quando fu introdotto nella grande sala vide che “Don
Rodrigo […] era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato
d'amici, d'omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire
in bocca a chi si dia una preghiera, non che un consiglio, non che una
correzione, non che un rimprovero…”. (nota
1)
Don Abbondio avanzò a capo chino e con atteggiamento
remissivo. Non si aspettava tutta quella gente e cominciò a temere per la sua
incolumità oltre che per la sua tranquillità turbata. Non pensava di esser
ricevuto nel bel mezzo di un banchetto.
Il baccano di voci e risate divenne improvviso silenzio
quando il signorotto congedando i commensali gli fece cenno di avvicinarsi.
Don Rodrigo lo guardò.
Nella sua tunica nera lunga, evidentemente
intimorito, lui rappresentava la vittoria dei forti sui deboli. Perché era
così: i forti vincevano sempre sui deboli.
Se proprio doveva darsi una spiegazione, non sapeva
il perché lo avesse mandato a chiamare. Trovare un diversivo ogni giorno era
cosa assai difficile, ma quello che si era riservato quella sera era alquanto
singolare. Aveva deciso di scambiare ‘quattro chiacchiere’ con il curato del
paese. Don Abbondio …
A 40 anni era il signorotto della zona, temuto e con
molti bravi al suo servizio. Sgherri che alla bisogna sbrigavano per lui
piccoli favori o commissioni. Quel misero curato di campagna non era che un
altro dei tanti miserabili di cui poteva decidere la vita o la morte.
La sala era ormai vuota e si rese conto che Don
Abbondio era di fronte a lui, a testa bassa, aspettando gli dicesse cosa fare.
L’altra sera aveva scommesso con suo cugino Attilio
di impedire il matrimonio tra quei due popolani. Come si chiamavano? … Ah si,
lei Lucia, lui … lui, non ricordava il suo nome … Non che fosse importante. Contava
solo impedire le nozze. Solo quello.
Lo sguardo del signorotto si fissò sul capo del
curato, non prima di aver preso l’ultimo sorso del liquido che ancora riempiva
il suo calice. Lo posò sul tavolo. Gli fece cenno con una mano.
Don Abbondio ringraziò e si accomodò. Il suo ospite
era tutto velluto e pizzi spagnoli. Fece il gesto di offrirgli da bere, ma lui
declinò.
Il silenzio dopo tutto quel baccano lo metteva più a
disagio di quanto non fosse già.
“In che cosa posso
servirvi?” disse
con voce ossequiosa.
Don Rodrigo si sporse appena. I suoi occhi
falsamente gentili incrociarono quelli titubanti di Don Abbondio.
Voleva risposte. E forse, anche divertirsi un po’. Prese
a giocare con qualcosa di invisibile sul tavolo.
…
Cosa pensate di me,
signor curato. La verità … - gli
disse con enfasi, cercando di rintracciare i suoi occhi che vagavano
dappertutto tranne che nella sua direzione.
Cosa avete pensato
quando i miei bravi vi hanno ordinato per conto mio di non celebrarle nozze tra
quei due popolani? Come mi chiamereste …?
Don Abbondio, che non era né ricco né nobile, ma
ancor meno coraggioso, si sentì ancora una volta, “come un vaso di terra cotta,
costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”. (nota 2)
Prepotente,
scellerato, ignobile? … Ditemi signor curato, parlate pure liberamente”…
Don Rodrigo si appoggiò all’indietro sull’ampio
schienale della sedia, in attesa della sua risposta. Il suo atteggiamento era
fintamente rilassato. Ma maggiormente divertito.
Don Abbondio si mosse nervoso. Il viso divenne
pallido. Le mani erano ancor più strette sul breviario e un leggero tremore aveva
cominciato a scuoterlo tutto.
Avrebbe voluto dire che era un piccolo tiranno di
campagna, un malvagio, ma senza il coraggio delle sue azioni, che non sapeva
essere grande nemmeno nel male, ma, forse queste cose non sarebbe stato nemmeno
in grado di pensarle!
“Beh, credo non sia
colpa vostra, ma …”
Cosa fate, mi
compatite? Don
Rodrigo lo interruppe e sorrise appena davanti all’evidente imbarazzo del
curato.
“No no, non io… non io, mio signore, ecco … Ecco,
voi siete troppo giusto … troppo ragionevole …”
Non pensate che il
mio sia stato ‘uno scellerato disegno’?
“No, no, no … ” si affrettò a dire il curato che non
sapeva cosa rispondere e si torceva le mani. La cosa era ancor peggiore di
quanto si aspettasse.
Questo matrimonio
non s’adda fare!!! E voi avete obbedito. Bravo! Don Rodrigo gli diede una leggera
pacca sulla mano livida, stretta intorno al povero libretto e scoppiò a ridere.
Don Abbondio ebbe un riso tremante.
I nobili erano uomini strani, avvezzi a passare
dalla collera al riso …
E non siete per
questo più maledetto di me?
- chiese a bruciapelo inchiodandolo con il suo sguardo prepotente e sfrontato.
Avreste dovuto
impedirmelo. Salvare me e la mia anima. Contrastarmi!- aggiunse improvviso come
indemoniato. Si alzò di scatto quasi rovesciando la sedia.
Don Abbondio si paralizzò.
Se io sono
maledetto, lo siete con me anche voi! Voi, che non avete fatto il vostro dovere
e avvallato un sopruso!”
“Io … io – balbettò – vi ho ubbidito …”
“Com’era giusto che
fosse, certo!”
concluse per lui tornando a sedersi e fissandolo da vicino con volto e occhi
spiritati.
Ma non pensate che
così ci avete dannati entrambi?
Il curato cominciò a tremare ancora più forte, in
tutta la persona. Don Rodrigo era alquanto contrariato e sembrava dare a lui la
colpa del suo assenso a non celebrare le nozze come lui stesso gli aveva
chiesto.
Non voleva guardarlo in faccia, ma lui si abbassò costringendolo
a fissarlo negli occhi scuri e minacciosi.
Cominciò a pregare. Sperò in un intervento divino e
…
Lo sbattere improvviso di una porta distrasse Don
Rodrigo e il curato si risvegliò nel suo letto, affannato e con il breviario
tra le mani.
Nota 1: dal Capitolo V de I Promessi Sposi