Passeggiando per il Centro Storico di Napoli

Considerando che il sito è di eccezionale valore. Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa.

Sono le parole con le quali nel 1995 l’UNESCO proclama il Centro Storico di Napoli “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”. Segno tangibile ne è la targa affissa sulla facciata della Chiesa del Gesù Nuovo situata nell’omonima piazza.

Nell’ambito della 38° sessione, tenuta a Doha (Qatar) nel 2014, il Comitato per il Patrimonio mondiale dell'UNESCO ha aggiornato la Dichiarazione di Eccezionale Valore Mondiale per il sito Centro storico di Napoli inserendo nel Patrimonio mondiale anche La Reggia e il Parco di Capodimonte, Castel S. Elmo e Certosa di S. Martino, Villa Floridiana e Parco, Villa Rosbery e Parco, Villa Comunale e Real Orto Botanico. Il centro storico di Napoli, con 27 secoli di storia sviluppati su una superficie di 17 chilometri, è il più vasto d’Europa: dalla Neapolis dei coloni greci ad oggi, Napoli ha assimilato le varie culture affacciatisi sul Mediterraneo ed in Europa, le cui influenze, parallelamente al ruolo predominante ricoperto nella storia, non solo l’hanno resa una città unica, ma sito prezioso di suggestivi monumenti.
L’area dichiarata patrimonio dell’umanità racchiude quella parte del territorio, unico per caratteristiche geomorfologiche che ne hanno determinato l’antico sviluppo più o meno ricalcante l’attuale: il palazzo Fuga a piazza Carlo III, il Museo Archeologico Nazionale, la Certosa del Suor Orsola Benincasa sotto la Vigna sul versante della Collina di San Martino, la villa Pignatelli nel quartiere di Chiaia. Sul versante mare, la conservazione dei resti della vita imperiale della città di Napoli sono segnati nel lungo tratto di costa tra il Maschio Angioino ed il casale di Santo Strato all’apice della collina di Posillipo. A contribuire come valore universale del Centro Storico UNESCO è la disposizione a scacchiera dei Quartiere Spagnoli, relativamente alla forma urbana del XVI secolo, formalmente visibile nella zona Santa Lucia a Monte e replicati negli antichi rioni della Duchesca al Rettifilo e Santa Maria all’Antesaecula al Borgo dei Vergini. Piccola parte della collina del Vomero, San Ferdinando, Montecalvario ed il rione Carità; parte dei quartieri della Stella e di San Carlo all’Arena, San Lorenzo, Mercato, Vicaria, Porto, Pendino, ed infine, la disposizione delle cittadelle monastiche sopraffatte dall’edilizia moderna. Esse sono Santa Chiara e San Domenico, la zona universitaria di indirizzo umanistico, Piazza Vincenzo Bellini, piazza San Domenico Maggiore, oltre alle zone tradizionalmente artigiane e manifatturiere di Via San Gregorio Armeno ed il Borgo degli Orefici.

Anche se significativi di diversi momenti essenziali della città di Napoli, la chiesa di Sant’Eligio al Mercato è inclusa nel perimetro del Centro Storico UNESCO poiché essa qualifica il cuore della Napoli angioina, in occasione anche le chiese di San Giovanni a Mare, la chiesa del Carmine a piazza Mercato, Santa Chiara a Spaccanapoli, San Lorenzo Maggiore ai tribunali, San Pietro Martire fuori Mezzocannone e Donnaregina Vecchia a Settembrini.
Nulla da segnalare in merito alla zona orientale della città che segna il confine dello sviluppo urbano al di qua e al di là delle paludi napoletane, là dove oggi sorge urbanizzata piazza San Francesco a Porta Capuana. Rientra tra i contributi, l’uso perdurante dei materiali di cui è composta la città segnata dal marchio UNESCO; materiali di estrazione locale, antichissimi, precedenti alla presenza di vita umana sul territorio, distintivi dell’attuale livello estetico e materico di molti palazzi e moltissime chiese della città, motivo per cui si sono avviate attività estrattive che hanno tracciato l’andamento del sottosuolo di Napoli sotterranea. Il materiale è meglio conosciuto col nome di tufo giallo napoletano, ed il piperno. Le cave oggi al Rione delle Fontanelle, nella zona di San Severo alla Sanità, a San Gennaro ed al Chiatamone. Ed infine, nelle moderne applicazioni del restauro, si adottano ancora oggi le tecniche di utilizzo di questi materiali importati dai loro rispettivi periodi di corrispondenza [fonte]

E' un percorso grandioso, affascinante. Immagini e suggestioni si intrecciano tra le strade, la meraviglia ci invade di fronte a chiese, monumenti, siti, personaggi che prima di noi hanno attraversato questi stessi luoghi, innamorandosene, scrivendone, raccontandone [...]
In piazza Plebiscito. Facciamo sosta al Gambrinus, storico ritrovo di poeti e artisti. Solleviamo il capo e…
Restiamo qui. Nel cuore di Napoli. A pensare.

È il 1892. ‘A Vucchella di Gabriele D’Annunzio racconta il suo periodo napoletano (1891-1894) quando lavora presso la redazione de Il Mattino e il collega Ferdinando Russo, autore di canzoni napoletane, lo sfida a comporre una lirica in dialetto partenopeo, lui che è abruzzese […]
Raccogliendo la sfida D’Annunzio scrive a matita sul marmo di un tavolino del caffè Gambrinus, appunto 'A Vucchella, con dedica a Ferdinando Russo.

Fin qui l’ipotesi accreditata nella storia della musica napoletana fino a […] quando nel secondo volume della sua Enciclopedia della canzone napoletana Pietro Gargano scrive che il pezzo probabilmente nacque nella redazione del giornale Il Mattino. Conferma che arriva dall'articolo pubblicato sul Mattino dell'8 settembre 1954: "In margine a Piedigrotta" dice il titolo, poi l'occhiello chiarisce: "Come D'Annunzio scrisse 'A vucchella musicata da F. P. Tosti". La firma è di Oreste Giordano, giornalista, intellettuale vicino al futurismo, autore di romanzi, novelle, poesie, traduttore di Baudelaire e amico e biografo di Ferdinando Russo.

L'articolo di Giordano inizia così: "Il titolo di Vucchella era in origine Sunettiello, con dedica a Ferdinando Russo". Poi conferma la datazione del brano al 1892, dopo la fondazione del quotidiano di Scarfoglio e della Serao. "Ecco, testualmente, quello che mi raccontò Ferdinando Russo", scrive Giordano, riportando il ricordo del poeta partenopeo sul collega delle "Laudi": "Mi pare di vederlo nella nostra redazione, al Mattino... Una notte, seduto accanto a me che lo ascoltavo parlare... mi disse sorridendo: "Voglio provare a scrivere in napoletano. Mi tolse la penna, tirò a se davanti una cartella e dopo poco mi domandò: "Dimmi: come si dice in dialetto pochino, pochino?" "Pucurillo pucurillo". "E come si dice appassita, vizza?" "Appassuliata, appassiulatella". "Sorrise e cominciò a scrivere, mentre io lo guardavo attento: "Sunettiello, a Ferd. Russo" . Erano nati i versi di 'A vucchella, "Si comme a nu sciurillo...", caratterizzati da quella parola, quel neologismo-diminutivo-vezzeggiativo, "appassiulatella", usato fino ad allora solo da Di Giacomo nella poesia del 1889 poi musicata da E. A. Mario in Ammore abbasato. L'autore di Scetate, sostiene ancora Giordano, si fece firmare la poesia autografa e disse all'amico: "Uno di questi giorni ti faccio un tiro, lo pubblico". D'Annunzio non voleva, poi don Ferdinando gli chiese di pubblicarlo in occasione della Piedigrotta: "Egli acconsentì raccomandandomi di dire che si trattava di uno scherzo". [fonte]

La musica. Il San Carlo. Tra le mete del Grand Tour, il tipico viaggio di formazione dei giovani dell’aristocrazia europea del diciottesimo secolo. Lo stesso teatro che rapì l’anima di Stendhal.
Quest’ultimo, nei suoi consigli al cugino Romain Colomb in visita in Italia, oltre a sottolineare come sia molto difficile trovare alloggio a Napoli prosegue suggerendo di provare all’albergo dell’Universo sopra il caffè Italia; provare alle locande di Santa Lucia: installarsi al quarto piano, si vedono il Vesuvio ed il mare […]

Noi ci fermiamo qui. A guardare il Vesuvio e il mare [...]

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