[III° Tappa BlogTour] In una Torino livida per il freddo o bruciata dall’arsura estiva, ricordi e minacce si mescolano.


Si è spento il sole o il mio cervello?

Prezzo: 0.99 € (prevendita fino al 4 novembre), 2.99 € e-book; 5.99 € cartaceo
Genere: mystery, soprannaturale, thriller Pagine: 130
Uscita: 4 Novembre 2017
In un anno di naja la caserma diventa casa, i commilitoni famiglia, e la vita è molto diversa da quella “di fuori”. Il protagonista, appena trasferito alla caserma La Marmora, attraversa tutte le fasi di adattamento alla vita militare, dal nonnismo ai favori per avere una coperta nuova o un lavoro meno schifoso. Di giorno, impara la regola fondamentale della Compagnia Trasporti, ovvero farsi gli affari propri; di notte, fra turni di guardia e dormite troppo brevi, è tormentato da strani rumori e incubi angoscianti. In Eclissi, novella che segna il suo ritorno alla pubblicazione, Ronnie Pizzo ricostruisce il mondo piccolo della leva obbligatoria, con le sue regole, le sue miserie e un pizzico di soprannaturale. I personaggi sono ragazzi sospesi nel limbo straniante della caserma, dal quale aspettano solo di essere espulsi nel mondo degli adulti. Sullo sfondo di una Torino livida per il freddo o bruciata dall’arsura estiva, ricordi e minacce si mescolano, amici e nemici cambiano faccia ogni mese, come la luna, e tutto può mutarsi all’improvviso nel suo contrario.

Autore

Ronnie Pizzo – no, non è uno pseudonimo – è nato alla fine degli anni ’70 in un paesino del Piemonte. Da bambino voleva essere uno dei Goonies, e anche da grande non ha smesso di cercare il tesoro di Willy l’orbo. Oggi cucina, scrive e sogna di diventare un vichingo. Ama i luoghi gelidi ma non le persone fredde; viaggia alla ricerca di nuove storie e le racconta agli altri per convincerli a fare lo stesso. Ha pubblicato qualche saggio e qualche romanzo (l’ultimo è La colonna di Antanacara, primo volume di una trilogia fantasy pubblicata da Gainsworth Publishing), tenuto corsi di scrittura creativa, collaborato con case editrici e organizzato eventi letterari un po’ con chiunque, perché non si direbbe ma è davvero un ragazzo simpatico. Lo scorso anno ha iniziato un nuovo progetto, il “Viaggio del Sogno Premonitore”, che racconta su Facebook e Instagram. Eclissi è la sua prima pubblicazione self, e per ora fare l’editore gli piace parecchio.

Quante volte mi è già capitato di parlare di scrittura? Un’infinità! In fin dei conti è la mia passione, ciò che vorrei fare “da grande”.
Quest’anno ho ripreso in mano le redini della mia ambizione letteraria e mi sono dato da fare. Ho ripreso a scrivere (e il risultato, lo sapete, si chiama Eclissi) ho aperto un blog, inaugurato una newsletter e rinnovato la presenza sui social con un branding completo.
All’interno di quest’alta marea organizzativa e creativa, le possibilità di affrontare l’argomento “scrittura” sono davvero tante. E sempre diverse tra loro… per quello non mi sono ancora stufato di farlo.

Non c’è niente da fare, sviluppare un’idea e costruire una storia mi suscitano un’emozione che non ha paragoni. È quello che adoro fare: osservare per primo ciò che combineranno i personaggi e snodare i fili dell’intreccio. Questo non significa che sia facile, anzi… e non ha nulla a che vedere con la versione finale del nostro libro. Ogni storia ha difficoltà ed esigenze diverse e questo dipende da talmente tanti fattori che sarebbe un’impresa ardua tentare di elencarli.
Nel caso di Eclissi, come già era successo con il mio primo romanzo A tempo perso viviamo tutti i giorni, ci ho messo un anno intero per completare la stesura di un piccolo volume. Sì, ho dedicato sul serio gli ultimi dodici mesi a buttare giù la prima bozza, rifinire, riscrivere, correggere, ripensare, abbellire, ricorreggere, limare e perfezionare. Dodici mesi dentro il cervello dei personaggi, dentro le mura della Caserma, in mezzo a frasi che non volevano saperne di diventare leggibili, con incongruenze che non avevano nessuna intenzione di levarsi dai piedi.
Un’immersione costante, molto più consapevole rispetto a quella dell’esordio di parecchi anni fa. Ne avevo bisogno. Non esiste regola migliore per chi decide di mettersi a scrivere che farlo ogni giorno, senza eccezioni. Lo ripeto sempre, a me stesso soprattutto…
Ma veniamo alla stesura di Eclissi.
Dopo aver buttato giù l’idea generale, mi sono subito reso conto di quanto fossi avvantaggiato nel creare l’ambientazione e le situazioni. Avevo così tanti aneddoti, esperienze, testimonianze della mia permanenza in caserma nel 1999 da trovarmi con l’imbarazzo della scelta. Dovevo però individuare e scegliere solo gli avvenimenti utili alla trama, adatti all’intreccio e alla presentazione dei personaggi. E la faccenda si è rivelata più complessa di quello che immaginavo.
Stabiliti i punti cardine dello sviluppo della storia, ho iniziato a scrivere in terza persona. Sono andato avanti per un po’, ma c’era qualcosa che non mi convinceva. Troppo scontato, troppo semplice, troppo classico. Potevo sballottare il protagonista da un’emozione all’altra e farlo sprofondare o riemergere a mio piacimento, lasciando la libertà al lettore di immedesimarsi o meno e giocare con un punto di vista esterno, facile e universale.
Non era il mio obiettivo.
Ho ricominciato, passando alla prima persona e scaraventando il lettore, nel bene e nel male, dentro il cuore, lo stomaco e il cervello del soldato senza nome. E anche questo, giusto perché mi piace non farmi mai mancare niente, si è rivelato un bel delirio da gestire.
Ci sono volute tre stesure perché fossi soddisfatto e decidessi di manifestarmi alla mia editor. Sapevo a cosa sarei andato incontro. Tenete presente che un buon editor non è un pazzo che s’impone per partito preso e insulta il tuo testo solo per capriccio. Ogni volta che si riempie una pagina di parole e si trasferisce su carta il proprio racconto, ci si deve porre un’enorme quantità di domande. E darsi le risposte che servono, ovviamente. Insomma, un tale turbinio di dilemmi che non possiamo davvero avere una visione d’insieme coerente e sincera.
Un buon editor lo fa al posto nostro e ci fa notare dove siamo usciti dal seminato, dove abbiamo preso la piega sbagliata, dove e come il nostro eroe ha fatto cose a caso, e tanto altro ancora…

Nel caso di Eclissi, a finire sotto esame è stata la struttura. Ma era scontato. Concentrato com’ero a tirar fuori il meglio dai miei ricordi e a renderlo adatto ai miei personaggi, ho perso di vista la linearità della storia, il giusto crescendo di tensione, il miglior ritmo da affidare agli eventi.
E allora via, altro giro altra stesura!
È normale. Non c’è mai bisogno di farne una tragedia. Fa parte dei giochi. O si è disposti a farlo, oppure tanto vale non mettersi nemmeno a scrivere.
Messa a punto la struttura, siamo passati al linguaggio. Di solito è il momento più tragico, perché viene messo in discussione anche il più insignificante degli aggettivi. E infatti, visto che è insignificante, perché non toglierlo?
Sono onesto, pensavo peggio. Mi sono accorto di aver maturato nella mia singhiozzante carriera di scrittore una buona consapevolezza, una discreta padronanza delle mie capacità, e così non mi sono trovato davanti a un immenso cimitero ma solo a un camposanto di provincia.
Una curiosità però ve la voglio svelare: ho scoperto di esagerare con i “tutto /tutti / tutte”. Ma davvero fuori controllo, giuro! A tal punto che ora è diventata una vera ossessione evitarli…
Sembra un detto banale, ma non si finisce mai di imparare. E ogni volta che ci si immerge in una storia nuova, scopriamo qualcosa di noi stessi che ancora non conoscevamo.

Spero che la mia tappa vi sia piaciuta. Alla prossima!

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