[Giveaway] La discendente di Tiepole
Un paese fantasma dimenticato dalle carte geografiche, circondato da montagne, abitato da una popolazione inospitale. È il ritratto di Tiepole, paese d'origine di Emma, ed è lì che la ragazza è costretta a tornare in occasione del funerale di suo nonno. Il suo soggiorno, però, si trasforma in incubo quando Emma legge la lettera che sua nonna aveva scritto per lei prima di morire e che il nonno non le aveva mai consegnato. Essa le svelerà un mondo di tenebra colmo di stregoneria e maledizioni, di faide tra famiglie e di lotte per il potere. Emma non sa ancora nulla, ma tutti i Tiepolesi sanno chi è lei, poiché la stavano aspettando. Lei è l'erede della Strega. Lei è la Discendente. Lei deve morire. Un'eroina indimenticabile in un romanzo in cui il bene e il male si confondono e niente, assolutamente niente, è davvero quello che sembra.
Alessandra Paoloni autrice di "La discendente di Tiepole"
ci ha dato l'occasione di concedere una copia del libro autografata ...spero ne
siate felici. Pochi mesi fa abbiamo messo la nostra anteprima
con grande successo e vi consigliamo caldamente di partecipare,
potreste essere uno dei fortunati vincitori. ( Invieremo un e-mail al vincitore e se questo non risponderà entro tre giorni, verrà estratto un nuovo vincitore. Ricordo, inoltre, che il libro verrà inviato solo una volta con posta prioritaria e se non arriverà a destinazione, le cause non saranno da imputare a noi) . Un altro buon motivo per
partecipare sarebbe vincere il minibook associato al libro ricreato
direttamente da Chocolate Rose.
Per partecipare basta poco..seguite le regole del form sottostante e sarete in lista per essere uno dei vincitori. BUONA FORTUNA!! P.s. Mi raccomando tenete d'occhio questo post che il giorno 3 Febbraio 2014 sarà proclamato il vincitore proprio in questo FORM.
La luce del bagno, sebbene debole e opaca, mi costrinse lo stesso a socchiudere gli occhi. Prima di guardarmi allo specchio ricordai a me stessa ancora una volta di chiedere a mio padre di cambiare quelle dannate lampadine pigre. Soprattutto di notte l'illuminazione doveva rivelarsi d'aiuto, perché temevo la mia immagine riflessa. La scarsa luminosità poteva giocarmi brutti scherzi.
L'incubo dal quale mi ero da poco risvegliata tormentò la mia mente mostrandomi ancora le sue immagini vivide e quasi reali, proprio come se le avessi di fronte a me.
Mia madre, mia nonna, Chistian, Candàce, i Teschi...
Tutti loro nella mia dimensione onirica si erano confusi, intrecciandosi sullo sfondo di scenari terrificanti e ambigui. Scrollai la testa come ad allontanare ogni altra reminiscenza di quel sogno e fissai lo specchio appeso sopra il lavello.
L'immagine mostrava una ragazza dai capelli scuri, dall'espressione insonnolita e assente. Sulla maglietta del pigiama era ancora visibile la piccola macchia d'olio che mi ero procurata la sera precedente durante la cena: una delle patatine fritte mi era scivolata dalle labbra, finendo con lo sporcare il mio indumento all'altezza del seno destro. Non mi ero cambiata perché la visita improvvisa di Chistian distolse completamente l'attenzione da quel piccolo incidente domestico. Il mio ragazzo era passato solo per far sapere a me e a mio padre che Silvia non aveva più la febbre. Notizia che avrebbe potuto comunicarci anche per telefono, ma lui non si faceva mai sfuggire l'occasione di bussare alla nostra porta e vedermi.
Dalla scomparsa di sua madre, e dalla mia, erano passati solo tre giorni. Tre giorni mi separavano dal mio rapimento, dall'aver scoperto che mia madre mi aveva sempre mentito, dall'essere perseguitata dai Teschi e dalla Bestia. Tre giorni durante i quali la nostra preoccupazione più grande fu la salute di Silvia, che si ammalò di una febbre inguaribile sia dai rimedi medici che da quelli somministrati dalla vecchia Gilda. La donna alla fine profetizzò che la malattia doveva fare il suo corso, e che molto probabilmente era stata causata dal morso di Valerio. Ci aspettavamo di tutto, ma non certo una guarigione così miracolosa. In cuor mio sospettavo che una ripresa repentina e inspiegabile non avrebbe portato a nulla di buono, e colsi quella stessa preoccupazione anche negli occhi di Christian.
Mi avvicinai al lavello senza staccare gli occhi dalla mia immagine. Erano tre giorni che ripetevo sempre quelle stesse identiche azioni: entrare in bagno, ricoprire molto lentamente quei pochi passi che bastavano per arrivare allo specchio, osservare il mio volto e notare se su di esso ci fosse qualcosa di strano.
Di diverso. Di orribile.
Nel momento in cui mi rendevo conto che non ero altro che io quella raffigurata, una parte di me tirava un sospiro di sollievo mentre l'altra ne restava delusa. Non che fossi stata mai ansiosa di mutare, ma prima ciò accadeva e prima avrei accettato il mio cambiamento. Non sapere quando come e dove mi sarei trasformata in una Strige, mi mandava fuori di testa. E se fosse accaduto a casa di Gilda? O al bar di Carmine? O giù nella piazza di Tiepole, sotto gli occhi di tutti?
«No, Emma così non va. Smettila di pensare a queste cose!»
Parlai al mio riflesso aspettandomi quasi da esso una risposta. Se non altro la maledizione mi aveva fatto considerare di più il mio aspetto fisico: non ero mai stata così attenta alla cura del mio viso o del mio corpo come lo fui in quei giorni. Preoccupata di ritrovarmi sfigurata come Lorenzo, avevo preso a osservare il mio volto con maggiore attenzione come se dovessi conservare di esso il ricordo. Davvero mia nonna, la temibile Marta Vasselli le cui ossa erano misteriosamente scomparse, avrebbe voluto per me una trasfigurazione fisica e permanente? Sarebbe stata una punizione esemplare e motivo di vergogna e isolamento. Solo Lorenzo in quel caso avrebbe potuto capirmi.
Sospirai. Viaggiavo troppo di fantasia e mi facevo troppe paranoie. La realtà era già di per sé complicata, i guai che avevamo in casa bastavano e avanzavano.
Decisi di tornare a letto. Era da poco arrivata l'alba e mio padre dormiva ancora nella camera da letto grande. L'idea di gironzolare da sola per la cucina e il salotto non mi allettava per niente.
E fu così che, voltandomi, la vidi. La luce pigra del bagno la illuminò mettendola in evidenza: una sorta di macchiolina scura, in realtà molto simile a un puntino nero più piccolo di quanto la mia mente volle accettare, era spuntata al centro dell'avambraccio destro.
Eccolo il segno che attendevo. L'inizio del cambiamento. Mozzai il respiro e mi aggrappai con una mano al lavello. Il cuore mi fece una capriola nel petto e la mia mente esplose gridandomi ci siamo, stai per trasformarti in un uccello rapace notturno! Guarda, guarda che abominio diventerai!
Ignorando quelle stupide voci interiori mi sporsi verso lo specchio in modo da guardare meglio il braccio, senza toccare quella macchiolina scura. Tornai a respirare così profondamente che sullo specchio si formarono degli aloni là dove cacciavo via l'aria dalla bocca. Non chiamai a voce alta mio padre, anche se lui me lo aveva fatto promettere: mi disse che se avessi avvertito qualche sintomo strano o avessi visto su di me segni del genere, avrei dovuto chiamarlo ovunque mi trovassi. Subito. Invece me ne restai ammutolita a fissare quello che mi parve, dopo averlo messo bene a fuoco, solo un insignificante e repellente foruncolo che sarebbe scomparso dopo aver applicato uno strato di crema. Una bella beffa quella, ingigantita dal mio crescente nervosismo. Ogni piccolo difetto lo consideravo conseguenza della mia maledizione. Sul cuscino la mattina precedente avevo trovato un ciuffo di capelli e anche in quel caso mi ero spaventata a morte, reputando ciò l'inizio della mia maledizione. Ridicola.
Mia madre non si era ancora fatta viva, le ossa di mia nonna erano scomparse, la guarigione miracolosa di Silvia poteva rivelarsi un serio problema e io mi mettevo in allerta per qualche capello sparso sul cuscino o per uno stupido foruncolo.
«Emma, sei proprio una bambina.»
Rimproverai la me stessa dello specchio e pensai che quelle sarebbero state le parole che avrebbe usato Valerio per schernirmi. Scossi la testa, sorridendo di me stessa, sollevata all'idea che anche quello che credevo un sintomo si era rivelato tutt'altro: uno scherzo della mia immaginazione sempre più fervida.
Mi lavai le braccia con il sapone che utilizzavo per detergere il viso. Del foruncolo presto non ce ne sarebbe stato più traccia. Le mie paranoie al contrario mi avrebbero tenuto compagnia ancora per molto. Un countdown quello che rischiava di mandarmi davvero da un bravo psichiatra.
«Emma, sei lì?»
La voce di mio padre mi fece sobbalzare. Mi asciugai le braccia sfregandole con forza e riappesi l'asciugamano al suo posto. Lanciai un'ultima occhiata alla mia figura e mi riassettai i capelli. Niente di strano: ero solo io.
«Si papà, sto uscendo.»
Non avrei raccontato né a lui né a nessun altro quel piccolo spavento; rischiavo di diventare davvero lo zimbello di tutti. La nipote di Marta Vasselli che tremò al cospetto di un piccolo brufolo! I Tiepolesi ci avrebbe sguazzato di gusto in mezzo a quella storiella. Non mi vedevano ancora di buon occhio né lo avrebbero mai fatto, anche se a dirla tutta della loro opinione poco m'interessava. Non li temevo più e forse erano loro ora a temere me, Teschi e Bestia compresi.
Una prima piccola vittoria personale.