Agii prima che potessi rendermene conto. Superai André con uno scatto che non credevo che i miei
muscoli indolenziti sarebbero stati in grado di affrontare, sfruttando al
meglio la larghezza dell'androne per non rischiare che allungasse un braccio e
mi bloccasse.
Come uno stallone che si impenna e rampa contro il rivale
per conquistare la giumenta, mi avventai contro l'uomo tatuato e gli piantai i
pugni sul petto, spingendolo via con tutta la forza che avevo. Lui barcollò all'indietro
senza mollare la presa sul gomito della ragazza, che perse l'equilibrio e cadde
tra le sue gambe con un grido strozzato.
«Lasciala andare!» ruggii, facendo per strappare il braccio
della giovane dalla sua presa.
Qualcuno mi piombò addosso con l'irruenza di un tornado e
fui sbalzata contro la parete. Accadde tutto tanto velocemente che non riuscii
a impedire che una mano mi serrasse la gola e un corpo solido come l'acciaio mi
immobilizzasse contro il muro.
Fu quando alzai gli occhi che incontrai quelli più blu che
avessi mai visto. Orlati da folte ciglia nere, erano come accesi da un bagliore
interno che faceva risplendere le screziature indaco delle iridi.
Lui mi guardava penetrante, lo sguardo attento e al tempo
stesso torbido di pensieri osceni, indicibili.
Mi sentivo bruciare viva sotto quell'intensità.
Quest'uomo era di una bellezza inumana. I capelli castani,
lievemente mossi, erano una massa spettinata ad arte. Il naso era dritto e
armonioso, mentre le labbra piene erano incorniciate dalla barba corta che gli
ricopriva le guance e il mento, scendendo appena sul collo.
Non so per quanto rimanemmo a fissarci. Forse un minuto,
forse un eone. Avevo l'impressione di essere schiacciata da un'incudine
incandescente, tanto era forte la pressione del suo fisico sul mio. Le sue dita
intorno alla mia gola erano come un voluttuoso guanto di velluto, ma più
minacciose di una lama premuta sulla carotide.
Fu la voce lontanissima di André a richiamarmi al presente.
«Henri» chiamò scostante.
Henri.
Oh mio Dio, quest'uomo era Henri Lamaze.
Entrambi ci adombrammo. Da sgomenta, la mia espressione si
fece feroce. Lui tenne i miei occhi nei suoi con una risolutezza disarmante. Il
suo petto si gonfiò quando inspirò profondamente, e sentirlo sfiorarmi i seni e
il suo addome pigiare ancor più contro il mio mi procurò una contrazione nel
bassoventre di cui mi vergognai all'istante.
«Riportala nel dormitorio, Wulf» comandò al tatuato.
Mio Dio.
La sua voce.
Era molto più che baritonale. Era l'insieme di un esercito
di tuoni che deflagravano in lontananza. Era come l'eco dei tamburi che
annuncia l'arrivo di un'armata invincibile. Era il suono più cupo, potente,
torvo e maledettamente eccitante che avessi mai udito.
Con la coda dell'occhio intravidi il colosso trascinare via
la ragazza e avviarsi verso le scale. Fu più forte di me, e spostai gli occhi
sulla giovane barcollante ma, d'improvviso, non più così riluttante a seguire
l'uomo.Mi accorsi di aver fatto per lanciarmi nuovamente verso di
loro solo quando Henri strinse la morsa attorno alla mia gola e mi incollò di
nuovo alla parete con tanta veemenza da costringermi a soffocare un grugnito di
dolore.
Lui, invece, non represse un verso di eccitazione che mi
rotolò sulla pelle, come un cubetto di ghiaccio che scivola lentissimamente
lungo la spina dorsale, mettendomi i brividi. Mi osservò in un modo così
assoluto, che tutto il mio universo
parve spegnersi e focalizzarsi unicamente su lui, quasi ne avesse preso il
controllo.
Quasi si fosse dichiarato padrone della mia mente.
Lo sguardo avvinto al mio, Henri ordinò: «Lasciaci».
Percepii gli occhi gelidi di André su di me, più taglienti
di una bufera. Era assurdo, ma avrei voluto potermi voltare verso di lui e
supplicarlo di non andarsene. Anche solo con un'occhiata. Avevo
bisogno che restasse.
Ma André non sembrò avvertire il mio disperato disagio.
Senza proferir parola, girò i tacchi e sparì in fondo al corridoio.
Lasciandomi
sola con suo fratello.