La verità è che non sono le strade tortuose a farmi paura ma il fatto che il mio mentore/padre, che ora so chiamarsi Aidan, continua a mandarmi spiriti per ricordarmi che sta aspettando di parlarmi. Mi stringo le braccia al petto. «Un altro spirito?» mi chiede Nolan in un sussurro. Annuisco, incapace di parlare perché sto battendo i denti. Non lo vedo ancora ma so che è vicino. Per fortuna con Nolan accanto non ho troppo freddo, la sua presenza mi scalda un po’. Tiro comunque giù le maniche lunghissime del cardigan blu navy perché, a quanto pare, appena gli spiriti mi toccano la mia temperatura precipita e il cuore inizia a martellarmi nel petto. Il che è accaduto fin troppo spesso nelle ultime quarantott’ore, cioè da quando ho conosciuto Aidan. Be’, dire che l’ho conosciuto è eccessivo. Conoscersi implica darsi la mano, scambiare qualche battuta scherzosa, cose di questo tipo. «Non puoi evitarlo per sempre, Sunshine» osserva Nolan appoggiandosi all’auto vicino a me. Indossa una felpa con cappuccio di un colore grigio-bluastro, sciarpa, guanti e uno stupido berretto giallo brillante con un pompon rosso. Non mi sono ancora del tutto abituata a vederlo senza il giubbotto di pelle del nonno. Non so neanche se ne abbia un altro. La sera di Capodanno mi ha dato il suo adorato giubbotto, insistendo perché lo tenessi anche dopo il pandemonio che è successo. Adesso è appeso nel mio armadio e non si è ancora completamente asciugato. «Dovresti parlargli.» «Sarebbe molto più facile se avessi almeno una vaga idea di cosa dirgli.» Okay, forse non è del tutto vero. Ho un milione di cose da dirgli, be’, da chiedergli: perché mi hai abbandonato? Come hai potuto mettere in pericolo mia madre? Chi è la mia madre biologica? Dove sei stato in tutti questi anni? Perché ti sei fatto vivo solo ora? Cosa ti ha fatto credere che questo fosse il modo migliore per presentarti: Ciao, quando tua madre ha rischiato di morire, sono rimasto in disparte in silenzio per metterti alla prova mentre capivi di non essere la persona che credevi... Anzi, a voler essere precisi, di non essere affatto una persona. Però, appena è apparso sul vialetto di casa il giorno di Capodanno, mi si è inceppata la lingua. Quando mi ha dato la mano e ha pronunciato il suo nome spiegandomi chi fosse, il mio padre naturale − come se i suoi occhi da gatto di un verde lattiginoso, identici ai miei, non bastassero come presentazione –, ho faticato a controllare i muscoli per ricambiare la sua stretta. Ho aperto la bocca ma gli unici suoni che sono riuscita a emettere sono stati dei patetici mormorii, perchéhaifatto comehaipotuto quandosei, prima di decidere che fosse troppo. Ho scosso la testa e mi sono precipitata in casa lasciando Nolan solo con lui. Poteva anche essere il mio padre naturale, ma era anche l’uomo che aveva messo in pericolo la mia madre adottiva, la mia vera mamma, per mettere alla prova i miei neoacquisiti poteri soprannaturali. Pensavo che, quando l’avessi incontrato, gliene avrei dette quattro − per usare un’espressione della mamma − invece la mia mente è rimasta completamente, tristemente e scandalosamente paralizzata. «Mi ha detto che deve parlarti» ripete Nolan, forse per la ventesima volta. «Lo so» rispondo. «Ma non sono ancora pronta.» «Capisco» ribatte annuendo. «E comprendo le tue ragioni. Ma prima o poi dovrai farlo, quindi perché non ti togli il pensiero?»