“Devi darmi un motivo per odiarti,” dissi tra le lacrime. “Continuo a vedermi insieme a te nel mio futuro. Non puoi distruggere quello che abbiamo coltivato assieme, solo a causa di Mattia. Lui non c'entra niente. Non c'è cosa peggiore che lasciarmi fingendo che lui ne sia la causa.”
La presa sul mio braccio si alleggerì, non mi guardava più. “Non vedo l'ora che tu te ne vada via, che ti trasferisca a Roma.”
“Ripetilo guardandomi negli occhi, allora.” Alzò lo sguardo incontrando il mio. Avevo il terrore delle sue prossime parole: il mio cuore era impazzito, ma questa volta non era per amore.
“Come fai a continuare ad amare un mostro?”
Mi lanciai verso di lui e lo abbracciai; non si mosse, mi lasciò fare. “Tu non sei un mostro.” Non riuscivo a smettere di piangere, la paura di non saperlo più vicino a me era troppa. (capitolo 49)
Il forte rimpianto per quei fantastici anni, e forse anche il destino, mi portarono a far visita ad una scuderia alle porte di Siena, distante poco più di mezz'ora dalla mia nuova casa. Avevo avuto la possibilità di parlare con il proprietario, Giuseppe, al quale non riuscii a nascondere il mio passato come fantino. Fu forse che capì quanto ci tenevo a salire di nuovo in sella, o per il semplice fatto che era un uomo dall'animo buono, che mi diede subito la possibilità di lavorare per lui. Certo, non avrei cavalcato come una volta, ma allenare i cavalli e fare un po' di pulizia dei box era un piccolo, nuovo inizio.
Ogni pensiero si sciolse per svanire in un attimo non appena lei entrò. Lei e la sua amica indossavano la stessa tuta che le avevo notato quando la vidi per la prima volta in scuderia. Ero fermamente convinto che fosse una ragazza coraggiosa, e forse un po' testarda, per osare mettere piede dentro il recinto, così all'improvviso e senza nessuno che l'accompagnasse. La osservai mentre prendeva posto a un tavolo all'entrata, troppo lontano da dove mi trovavo io.
Era proprio come l'avevo memorizzata, bella e spensierata. Si portò i lunghi capelli biondo cenere lateralmente su una spalla, nel tentativo di farsi una treccia – che fallì solo pochi secondi più tardi. Gli occhi chiari erano un perfetto miscuglio armonioso tra stanchezza e gioia. Le si erano illuminati, mentre parlava con il proprietario.
Chissà se anche lei si ricordava di me. Non aveva mostrato nessun interesse nei miei confronti, quel giorno che sembrava ora così lontano. Non mi aveva detto il suo nome, ma avrei dovuto aspettarmelo, dal momento che la prima cosa che avevo fatto era stata accusarla di essere impazzita. Anche se l'idea ancora mi divertiva.
Mi alzai e, dopo aver pagato il panino e la birra che avevo preso, mi diressi verso il suo tavolo - comunque sarei dovuto passare di lì per uscire. Per un momento mi sembrò di incrociare il suo sguardo, ma un attimo dopo stava già parlando con l'altra ragazza.
Forse avrei dovuto lasciar perdere, forse stava cercando di evitarmi. Altrimenti avrebbe accettato il mio invito di visitare la scuderia e sarebbe tornata.
Ad un passo dalla porta mi fermai. La mia mano si stava già alzando verso la maniglia, ma fui tentato a voltarmi verso di lei. Lei mi stava già guardando. Stavo impazzendo. Sarebbe stato meglio uscire e tornare a lavoro, come se non l'avessi vista, oppure...
“Ciao,” cominciai. “Mi sembra di averti già vista.” (capitolo 3)
Danzavo, e la mia mente si liberava di ogni pensiero.
Danzavo, e tutte quelle parole che mi avevano colpita, ferita, uccisa, diventavano ora solo un debole ricordo.
Danzavo, e provavo la stessa sensazione che solo Max riusciva a trasmettermi: ero in armonia con me stessa, e nessuno mai sarebbe riuscito ad impedirlo. (capitolo 41)
Posai lo sguardo sulle sue labbra, prima di perdermi finalmente nei suoi occhi. Era come se il tempo si fosse fermato, immobile, mentre tutto il mondo attorno a noi era in continuo movimento.
“Se qui non ti va bene, sei davvero delicata,” le sussurrai all’orecchio.
“Non è quello che avevo in mente, in effetti,” sorrise e mi rubò un bacio veloce sulle labbra, rimanendo col viso tanto vicino al mio. Un contatto così semplice e breve che aveva scatenato un terremoto dentro di me. Non mi ha rubato solo il primo bacio, ma ogni singolo frammento del mio cuore. Lei lo sta ricostruendo perfettamente. “Ti ho creduto un romanticone. Insomma, alla tua età dovresti averne avute di ragazze. Avrai pur imparato qualcosa dalle tue precedenti relazioni, no?”
“Sì, ho imparato a non farmi più scappare quelle possibilità che ho proprio davanti agli occhi. Ho imparato a prendere l'iniziativa e a non lasciare assolutamente che una ragazzina possa mettermi dei paletti tra le gambe.”
“È così che mi vedi? Una ragazzina?”
“Solo quando mi consideri vecchio.”
“Bene,” tornò a guardare la sala, appoggiando la testa alla mano chiusa a pugno, il braccio piegato con il gomito sul tavolo. “La ragazzina è molto, ma molto delicata.”
“Questo l'avevo già notato,” la provocai, scostandole un ciuffo dal volto e facendolo scorrere dietro al suo orecchio.
Allungò la mano verso di me, sentivo le sue dita sul colletto della mia camicia. Le fece scivolare sul mio petto, fermandosi solo all'altezza del mio cuore. “Non sei così vecchio da non provare più sentimenti, il tuo cuore batte quasi più forte del mio.”
Io non ce la faccio più. Mi allungai verso di lei, lentamente, come una calamita, chiudendo la poca distanza che era rimasta tra noi. Sentivo le sue dita stampate ancora sul mio petto, pregai che rimanessero lì ancora per un po'. Le mie labbra cercarono le sue, ma prima di poterle toccare, lei si voltò, facendomi sfiorare la sua guancia tiepida ed arrossata. (capitolo 15)
“Non ti abbandonerei mai, Max,” disse prima di baciarmi ancora. “Non si può lasciare una persona che si ama tanto da impazzire. E io impazzisco ancora, ogni volta che sono con te.”
Continuai a baciarla senza prestare attenzione agli ultimi studenti che uscivano dalla scuola. Quei pochi giorni di lontananza mi avevano fatto capire ancora di più quanto questa ragazza che stringevo tra le braccia, la mia ragazza, fosse indispensabile per me, il motivo primo per svegliarmi col sorriso, la fiamma che dava un tocco nuovo, magico alla mia vita. Sorrisi e le accarezzai la guancia, asciugando una lacrima che le era caduta. Rimasi ad ammirare la sua bellezza per infiniti minuti, ero innamorato di ogni suo minimo dettaglio: le fossette che si creavano sulle guance al minimo sorriso, le lentiggini così difficili da notare se non da vicino, il piccolo neo sopra il sopracciglio destro... Ed ogni cosa che apparteneva a lei, era nello stesso momento anche mia. (capitolo 57)