Oscar e Ariel hanno nove anni, sono gemelli, ma non lo sanno.
Il loro destino era quello di stare insieme, ma qualcuno ha tramato nell’ombra affinché questo non avvenisse.
Oscar è di famiglia nobile, Ariel di famiglia povera, entrambi vivono con uno dei loro genitori, che sono all’oscuro di tutto.
I loro genitori sono Edoardo e Miriam. Dieci anni prima il loro amore sembrava invincibile, in grado di sfidare l’intera nobiltà, eppure lui, all’improvviso, l’ha abbandonata per sposare una donna del suo stesso rango.
Chi ha cospirato contro di loro ha molto da nascondere ed è disposto a tutto pur di tenere celati i propri segreti.
Ma per quanto tempo il destino può essere ingannato?
Le azioni di chi vuole impedire a tutti i costi che la verità venga svelata saranno proprio le cause che porteranno ad essa: ecco la vendetta del destino.
I sentimenti e le emozioni affolleranno i cuori, i legami ritrovati saranno inscindibili, ma scoperte inquietanti e pericolose metteranno nuovamente tutto a rischio.
Come reagiranno Miriam ed Edoardo incontrandosi nuovamente dopo dieci anni?
Come potrà, Miriam, resistere al fascino di Jacopo, uomo misterioso arrivato sul suo cammino con il preciso compito di impedirle di conoscere la verità?
Ma soprattutto, quanto dovranno pagare care le colpe dei loro genitori?
Cristina Vichi nasce a Rimini nel 1985 e si diploma al liceo Psicopedagogico.
Come tante persone fantasiose ha sempre amato molto inventare storie, ma l’idea di concretizzare un romanzo si affaccia inaspettatamente quando ha tre figli, che sono per lei grande fonte di ispirazione.
La sua prima opera, “Celeste”, romanzo a sfondo fiabesco, è stata auto pubblicata su Amazon il 28/03/2015.
Dopo questa prima e importante esperienza segue “Destini Ingannati”, auto pubblicato su Amazon il 15/11/2015.
Con il suo terzo romanzo si lascia affascinare da un genere diverso, l’Urban Fantasy, attraverso il quale la fantasia ha margini molto più ampi in cui spaziare. “Tander (Dentro noi, l’energia dei Fulmini)”, sarà la sua prossima uscita.
Introduzione
13.05.1796
«Forza Miriam, ancora una spinta!», l’incitò l’ostetrica.
Il suo viso era preoccupato, come se non sapesse più cosa fare.
Un urlo straziante riecheggiò nella stanza.
«Ecco brava, ci siamo quasi…», provò a incoraggiarla, ma nonera convinta.
Miriam fece un profondo respiro. Era come se qualcuno le stesse squarciando il ventre.
Un’altra terribile fitta le percosse la pancia.
La donna urlò nuovamente e si aggrappò alle lenzuola del letto.
Piangeva, ma la forza che sentiva nel corpo era indescrivibile: non si era mai sentita tanto potente e fragile nello stesso momento.
Finalmente il pianto di un bambino ruppe la tensione che si era creata nella stanza.
Miriam sospirò sollevata. Era proprio la voce del suo bambino.
L’ostetrica lo prese, era piuttosto impacciata nei movimenti, come se non sapesse gestire la situazione.
La giovane donna allungò subito le braccia per prendere il figlio.
Quell’ostetrica non le ispirava fiducia.
Sua madre Gertrude si era ostinata affinché fosse lei ad assistere il parto, ma Miriam avrebbe preferito la loro vicina.
Gertrude aveva insistito, le aveva detto che era la migliore ostetrica della zona, la più ricercata, eppure, con lei, non si era mai sentita a suo agio. La sua stessa presenza le suscitava una strana sensazione, le incuteva un brutto presentimento.
Miriam scacciò quei pensieri, ormai aveva partorito. Ora desiderava solo abbracciare il suo bambino, il dolore apparteneva già al passato e si sentiva piena di ottimismo per il futuro.
«È un maschio!», esultò l’ostetrica guardando Gertrude nell’angolo della camera.
La madre di Miriam, a quella notizia, non si scompose.
Era una signora minuta di circa cinquant’anni, con lunghi capelli lisci che si stavano ingrigendo e occhi di un azzurro spento. Aveva assistito al parto della figlia in silenzio, in disparte, assorta da tanti pensieri, senza manifestare alcuna emotività.
«Datemi il bambino!», Miriam si sporse in avanti per prenderlo.
«Dovete riposare ora», rispose l’ostetrica incerta.
Miriam la fulminò con lo sguardo:
«Datemi mio figlio!», ordinò minacciosa.
L’ostetrica si avvicinò al letto lentamente, come se fosse indecisa sul da farsi, infine guardò verso la donna, che annuì.
«Ecco…», disse porgendoglielo, «…ma solo un momento, devo andare a lavarlo!», affermò continuando a guardare la donna all’angolo.
Miriam prese suo figlio fra le braccia e lo appoggiò al petto.
Il piccolo smise di piangere istantaneamente.
«Ciao piccolo amore mio…», lo salutò Miriam con gli occhi colmi di emozione.
Il bambino la fissò intensamente per un istante, mosse le labbra e infine chiuse gli occhi. Era paciosamente sereno: appoggiato al petto della madre poteva sentire il battito rassicurante del suo cuore ed era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Miriam guardò il suo viso. Era un bambino paffuto con le gote rosee e soffici capelli dorati. Ora aveva gli occhi socchiusi, ma nell’istante in cui l’aveva fissata le erano sembrati azzurri, proprio come quelli del padre.
In quel momento il ricordo di Edoardo si fece più forte che mai, avrebbe tanto voluto averlo vicino, per condividere con lui ciò che provava.
La donna si concentrò sul bambino, non doveva pensare al passato, Edoardo non faceva più parte della sua vita.
All’improvviso una fitta terribile e inaspettata fece contorcere Miriam, che urlò spaventata.
Il bambino sentì la paura della madre che si era completamente irrigidita e scoppiò in un pianto disperato.
La giovane donna era combattuta tra il dolore, che le imponeva di pensare a se stessa, e il desiderio di non separarsi dal bambino.
In pochi istanti il dolore diventò insopportabile e, suo malgrado, fu costretta a porgere il figlio all’ostetrica, che fu ben lieta di riprenderlo.
«Che hai Miriam?», la donna nell’angolo, che fino a quel momento era rimasta in disparte, si avvicinò al letto.
«Ho dolore…», rispose con gli occhi sbarrati. «Ho lo stesso dolore di prima!», esclamò spaventata.
Miriam si toccò il ventre. Era ancora duro e sorprendentemente teso.
«È solo suggestione…», minimizzò l’ostetrica, che aveva finalmente ripreso il bambino. «Dovete soltanto riposare», aggiunse fredda.
Detto questo avvolse il neonato in una coperta e se ne andò velocemente nell’altra stanza con il pargolo che piangeva inconsolabile, seguita da Gertrude.
Miriam, rimasta sola, ricominciò a sudare.
Si toccò nuovamente la pancia e percepì un movimento.
Una nuova consapevolezza attraversò la sua mente.
«C’è un altro bambino!», intuì sbalordita.
«Madre!», urlò. Voleva chiamare anche l’ostetrica, ma si accorse che non ne conosceva neppure il nome.
Dall’altra stanza non ci fu nessuna risposta e le grida del suo bambino diventavano sempre più lontane.
Era notte e la donna non capiva perché sua madre e l’ostetrica fossero uscite di casa a quell’ora con il bambino appena nato.
Quel pensiero le trasmise preoccupazione e si sentì invadere da una terribile sensazione.
Miriam sospirò, doveva tenere il panico il più lontano possibile dalla sua mente.
Si toccò il ventre e, pensando alla vita che era dentro di lei, si fece avvolgere da tutto il coraggio che aveva nel cuore.
Con fiducia, si preparò ad affrontare quella difficile situazione da sola.
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